Fischi a Bossi la piazza non perdona

Le sparate di Umberto Bossi. Alzi la mano chi non ricorda i Winchester e le pallottole, i celodurismi e le altre volgarità del leader della Lega, da più di vent’anni sempre lì a minacciare di calare su Roma ladrona oppure di imbracciare il fucile. Tutta una retorica accompagnata da diti medi e gesti dell’ombrello, pernacchie e pugni alzati, che ha un unico scenario naturale: non certo le aule parlamentari o gli uffici ministeriali, non i social network e gli spot elettorali ma la piazza, il luogo fisico dell’incontro con gli elettori, con i padani veri. Ma sta il fatto che in piazza Bossi non ci può più andare come prima. Che la fisicità del suo rapporto con gli elettori leghisti rischia di riservargli qualche ruvidezza imprevista fino a poche settimane fa. Che perciò sarà più prudente per lui tenere d’ora innanzi i comizi nelle sedi della Lega. Che se si affaccia da un palco a fianco di un candidato sindaco per fare campagna elettorale rischia di vedere rivolto al suo indirizzo tutto il repertorio di insulti, gesti derisori e spacconate che per anni ha creduto di poter liberamente rivolgere ai suoi avversari politici.

Singolare destino: l’uomo della canottiera, dell’ampolla del Po, dei dialetti valligiani e di altre smargiassate, passato prima a fare il compassato ministro delle riforme istituzionali dell’ultimo governo Berlusconi, e finito poi a parlare al riparo del cerchio magico o, peggio ancora, dietro la cortina di un robusto cordone di forze dell’ordine che lo protegge dalle intemperanze della base.

Può darsi che l’episodio dell’altro ieri, quando a Crema qualche decina di leghisti arrabbiati ha srotolato striscioni contro la Lega “predona”, non si ripeterà altrove: di certo in casa Lega dovranno però mettere qualche attenzione in più al rapporto del vecchio Capo con l’elettorato, E che tristezza vederlo ancora agitare i pugni, in replica alle inattese contestazioni, come quel tale che, essendo ben sicuro che sarà trattenuto, finge di divincolarsi minacciando sfracelli. Sembra proprio che nulla verrà risparmiato a Bossi: nemmeno un finale da avanspettacolo, magari con lancio di ortofrutta offerta dai sempre arrabbiati agricoltori padani.

D’altra parte, chi deve rubare la scena (e la piazza, e il repertorio di improperi), c’è già. È Beppe Grillo. Il che la dice lunga sull’odierna comunicazione politica. Grillo infatti ne rifiuta le forme più riflessive e mediate, il contraddittorio e l’intervista; disdegna i media tradizionali e usa invece massicciamente la Rete, il blog, i social network. Ma non trascura affatto i comizi. E nei comizi suda, grida, si sbraccia, strappa l’applauso con una battuta (o, altrettanto spesso,  con un insulto). Come il Bossi prima maniera, che non a caso ha in più di un’occasione dichiarato di apprezzare.

Ora, non è affatto un paradosso che nell’incipiente epoca della realtà virtuale la realtà fisica reclami tanto spazio. Quanto più anzi si artificializzano le relazioni sociali, tanto più la realtà naturale prende per contraccolpo un significato di autenticità, di spontaneità, di genuinità, che richiede solo di essere liberato da ritualità e formalità. Perciò Grillo non parla più da un palco o da una tribunetta, ma cammina avanti e indietro sul limitare del palco, realizzando una performance invece di pronunciare semplicemente un discorso.

Anche i partiti politici della prima Repubblica stavano in piazza, manifestavano, lanciavano parole d’ordine. Ma il tutto veniva filtrato attraverso protocolli codificati, che mantenevano una distanza razionale, ‘verticale’, tra la schiera dei militanti e il leader politico. Oggi, invece la piazza, o la passseggiata  in mezzo alla folla, ha il significato del contatto reale, ‘orizzontale’, immediato, viscerale e non cerebrale. Non si tratta tanto di una maggiore identificazione, ma di una diversa identificazione. Identificazione non più nel proprio ‘campione’, nel migliore di noi, ma in quello che più ci assomiglia. Che è proprio come noi, parla come noi e si incazza come noi.

Solo che questo Bossi non se lo può più permettere. Grillo magari sì, lui no. Alza ancora i pugni o la voce, ma strappa al più un sorriso di commiserazione, come il vecchio attore che si ostina a voler calcare ancora gli assi del palcoscenico, quando il suo tempo è scaduto.

Vedremo molto presto se a Maroni basterà il vecchio copione del federalismo per tenere in piedi la baracca, o se invece, finita la recita di Bossi e dopo i biglietti staccati dalla Family, sulla Lega calerà definitivamente il sipario.

Il Mattino, 29 aprile 2012

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