(Questa intervista è apparsa oggi su Il Mattino, ed. Avellino):
Antonello Plati
Docente di filosofia teoretica all’università di Cassino, editorialista per Left Wing, Il Messagero, Il Mattino e L’Unità, membro della Fondazione Italianieuropei, Massimo Adinolfi, – che si «occupa di ciò di cui si occupava Platone, ma con minore fortuna» dice lui con eccesso di modestia – sarà oggi in città nell’ambito del «Caffè filosofico» al Godot Art Bistrot, in via Mazas ad Avellino. L’appuntamento è alle 17 e 30: Adinolfi rifletterà attorno al tema del linguaggio.
Professore, dietro a ogni parola c’è un pensiero: questo sembra essere il presupposto implicito del linguaggio. Per esplicitarlo è necessario chiedersi: qual è il nesso tra il linguaggio e il pensiero? E se il linguaggio dà forma al pensiero? All’inizio del secolo scorso von Hofmannsthal, nella sua lettera immaginaria inviata da Lord Chandos a Francis Bacon, sembra mettere in crisi proprio questa relazione, narrando dell’impossibilità di dare una espressione linguistica alle proprie idee.
Io davvero non so se dietro ogni parola c’è un pensiero: di sicuro c’è intorno. Wittgenstein diceva che in filosofia non c’è idea più pericolosa di quella secondo cui i pensieri sono nella testa, e io direi così: i pensieri stanno in mezzo alle cose, e di lì che ci vengono, è da lì che li peschiamo. E le parole sono la carta moschicida a cui si attaccano. Non l’unica però.
Quindi è possibile un pensiero indipendente dal linguaggio?
Certo: c’è un pensiero indipendente dal linguaggio, ma non c’è un pensiero indipendente dal mondo.
Ha citato Wittgenstein, oltre che dal filosofo austriaco dove dovrebbe attingere chi volesse riflettere intorno alle numerose e complesse questioni legate al linguaggio?
Il Wittgenstein delle Ricerche filosofiche è una miniera da cui non si finisce di attingere. Ma per la filosofia tutta la sua storia lo è: Platone non meno di Derrida, Hegel non più di Aristotele. A condizione, beninteso, di non limitarsi a riprodurne stancamente lo svolgimento storico, ma mescolando le carte e provando a continuarne i pensieri.
Ci può essere linguaggio, significato, ove ci sia una legittimità della contraddizione?
Direi così: la filosofia si preoccupa anzitutto di scovare le contraddizioni. È infatti una forma del «logon didonai», del dare e rendere ragione, il che impone in genere un trattamento severo nei confronti della contraddizione: la sua eliminazione. Dopodiché le tocca di fare anche un’altra cosa: sondare i limiti del linguaggio, provare a perimetrare la stessa logica, dove la contraddizione non può attecchire, mentre forse può crescere altrove.
Il linguaggio è anche lo strumento al servizio della menzogna e dello smarrimento del significato, qualcosa che «richiede manutenzione», come suggerisce Goliarda Sapienza ne L’arte della gioia. È in particolare il linguaggio politico, o meglio dei politici, a essere al servizio della menzogna?
Sì, ha ragione Nanni Moretti: chi parla male pensa male. La manutenzione ci vuole per l’auto, figuriamoci per le parole. Però non direi che il linguaggio della politica è il linguaggio della menzogna, non più di quanto lo sia in generale il linguaggio umano, che si distingue da quello animale proprio per la capacità di dire il falso. Dire il falso presuppone peraltro un impegno (sia pure tradito) con la verità. Se poi lei intende che oggi il linguaggio della politica è usurato e non parla più al paese, debbo darle ragione: in questo campo la manutenzione è più che mai necessaria. Anche se non credo la si debba fare urlando e insultando, bensì pensando, e portando i pensieri nelle cose che si fanno.
Nella nostra città il Partito Democratico vive tormenti anche peggiori di quelli di cui Bersani sta facendo esperienza in Parlamento. La via d’uscita è da ri-cercare nella filosofia o magari nei filosofi?
Assolutamente no. Mi spiace per Platone, ma il governo dei filosofi non è una buona idea, e sono felice che, tra le tante cose su cui sta riflettendo il Presidente Napolitano, questa non ci sia. Che la politica, non solo il Pd, abbia però perduto una minima infrastruttura intellettuale è vero ed è per me motivo di preoccupazione.