A che punto è la distruzione della sintassi? Giusto cent’anni fa, l’11 maggio 1913, sembrava che l’ora fosse finalmente scoccata, e Filippo Tommaso Marinetti, che un anno prima aveva scritto il «Manifesto tecnico della letteratura futurista» (c’è stato un tempo in cui anche la letteratura si è affidata ai tecnici?), si considerava pronto per esprimere il proprio lirismo «per mezzo di parole essenziali in libertà». Inutile dire che Marinetti nulla sapeva della grossa mano che Twitter gli avrebbe dato nell’impresa. Mica ne va solo della presidenza della Repubblica, con i tweet! Provateci infatti voi a rispettare sintassi e interpunzione nei soli 140 caratteri a vostra disposizione: impresa vana. Perciò comincerete anche voi, come il poeta, a «distruggere brutalmente la sintassi nel parlare», a non «perdere tempo a costruire periodi» (non ne avete lo spazio), a «infischiarvene della punteggiatura e dell’aggettivazione» e a «diminuire il numero delle vocali e delle consonanti» (le abbreviazioni!). Come vedete, all’immaginazione senza fili di Marinetti mancavano solo le faccine, tutto il resto c’era già (L’Unità, 12 maggio 2013)
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