Archivi del mese: giugno 2013

Nichilisti e vecchi rossetti

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D’accordo, siamo tutte peripatetiche. Solo perché mantengo ancora – incomprensibilmente, a dire il vero – un minimo di creanza, un resto di politicamente corretto, non riesco ad impossessarmi fino in fondo del grido di battaglia di Giuliano Ferrara, e perciò lo declino in modo pudico: siamo tutti impegnati nel mestiere più antico del mondo, siamo tutte meretrici. Ma su tutto il resto sono pronto a partire per la crociata di Ferrara contro l’insopportabile moralismo persecutorio della procura di Milano e, allo scopo, sono pronto a mettere il rossetto anch’io, a citare il Vangelo e a gridare, come ha fatto Ferrara dal palco di piazza Farnese, «chi è senza peccato scagli la prima pietra!». Poi per la verità Gesù disse all’adultera «va, e non peccare mai più»; ma Ferrara si è dimenticato di ricordarlo a Berlusconi, e io mi dimenticherò di ricordarlo a lui.

L’Unità, 30 giugno 2013

Leibniz tra i rifiut: li incenerirebbe?

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Comprensibilmente, la questione dei rifiuti campani non riceve alcun trattamento nei Saggi di teodicea di Wilhelm Gottfried Leibniz. E non perché i Saggi siano stati scritti ai primi del Settecento (che pure sarebbe un buon motivo), ma perché nel migliore dei mondi possibili, di cui parlano i Saggi, rifiuti da incenerire non ce ne sono. Una frazione di rifiuti indifferenziati non c’è, né piccola né grande. In Campania invece c’è. Ergo: ben lungi dall’essere il «luogo virtuoso» di cui parla il Sindaco De Magistris, la Campania non è il migliore dei mondi possibili. Non ancora, almeno. Delle due l’una, allora: o la Campania trasforma in fretta e furia il suo territorio nel migliore dei territori possibili, e allora di inceneritori non ne avrà alcun bisogno, oppure si prende atto di quel che c’è adesso – le ecoballe, il trasporto dei rifiuti fuori Regione, l’inquinamento del terreno, i roghi, i limiti dell’attuale impiantistica – e si procede con il piano presentato all’Unione europea, se necessario anche con poteri commissariali. Quello che sicuramente non si può fare, è andare fieri del trasferimento dei rifiuti per mare in Olanda o per terra in Puglia, e considerare razionale che quel che non si brucia in Regione, perché inquina e avvelena, si possa però bruciare fuori Regione, a patto ovviamente che fumi e ceneri non arrivino fin qui.

Quello che, per conseguenza, non si può dire è che un inceneritore non ci sarà mai, a nessun costo e per nessuna ragione. Eppure Luigi De Magistris è tornato a ripeterlo: come se l’infrazione e la multa che ne verrà non gravasse sulle tasche dei cittadini; come se la raccolta differenziata in Campania avesse già raggiunto livelli californiani; come se la gestione dei rifiuti non presentasse più criticità; come se infine la filosofia del «not in my back yard» (non nel mio cortile, ma sì in quello del vicino) fosse una politica ambientale moderna e degna di questo nome. Eppure il Sindaco di Napoli ha detto proprio così, nessun inceneritore in nessun caso, pur non essendo sostenuto da una metafisica paragonabile a quella sviluppata da Leibniz nei Saggi. Per il filosofo tedesco, infatti, il migliore dei mondi possibili è proprio questo: con tutti i suoi mali e le sue brutture, i suoi delitti e, quindi, pure la sua spazzatura. Voltaire prese in giro un così cieco ottimismo, ma è chiaro che non aveva davvero capito quello che solo l’applicazione della dottrina leibniziana ai rifiuti campani poteva chiarire: che se questo è il migliore dei mondi, figuriamoci gli altri che il buon Dio ha scartato!

Fuor di metafora: migliore o peggiore che sia, quello che conta è lo stato attuale delle cose.  E, allo stato, la Campania non è autosufficiente nello smaltimento dei rifiuti, come invece viene richiesto dalla Commissione e dalla legislazione nazionale. Questo è il dato. Prima che il Sindaco procomberà da solo, come diceva il poeta, per impedire che si faccia l’inceneritore, bisognerebbe misurarsi con i fatti, che sono coriacei e poco inclini alla retorica: con le percentuali alle quali è ancora ferma la differenziata in Campania, con le discariche e gli incendi abusivi, le mancate bonifiche e la necessità ancora inevasa di intervenire sugli impianti per il compostaggio.

Dinanzi al Commissario europeo Potocnik, Il Ministro dell’Ambiente Orlando ha formulato l’ipotesi che la Campania possa produrre meno delle 2 milioni e 700mila tonnellate di rifiuti indicate nel Piano regionale: se così fosse, è evidente che anche la necessità di incenerire dovrebbe essere ridimensionata in base alle quantità effettive. Avere poi ottenuto che l’entità della multa sarà stabilita al momento in cui verrà irrogata, in considerazione dei progressi eventualmente compiuti nel rispetto degli obiettivi contenuti nel Piano, è un buon risultato e può rappresentare un motivo per migliorare l’intera filiera dei rifiuti: dalla qualità e quantità di differenziata alla realizzazione di una efficiente gestione integrata. Ma questo non c’entra nulla con il rifiuto a priori dell’inceneritore, o con le rodomontate del tipo «noi non ci facciamo commissariare», e insomma con l’innalzare insulse bandiere ideologiche, salvo continuare a smerciare i rifiuti nel cortile del vicino, pagando per giunta assai profumatamente trasporto e smaltimento.

Ma, si sa, nel bene e nel male, un intero ciclo politico si è consumato in Campania e a Napoli sulla monnezza, e l’apertura di un nuovo ciclo non sarà un parto indolore.

Il Mattino, 20 giugno 2013

 

I pentiti dell’austerità

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Nel 2010 Robert Skidelsky, il biografo di Keynes, scrisse per il Financial Times un articolo – ripreso anche dal Sole 24ore – nel quale si prendeva la responsabilità di sottoporre non al vaglio arbitrario dei filosofi ma alla prova dei fatti le politiche di austerità adottate con pochissimo distinguo in Europa. E concludeva il suo articolo con queste fatidiche parole: «Stiamo per imbarcarci in un importantissimo esperimento per scoprire quale delle due storie sia vera. Se il risanamento dei conti pubblici si dimostrerà la via per la ripresa e una crescita rapida, allora potremo seppellire Keynes una volta per tutte. Se al contrario i mercati finanziari e i loro portabandiera politici si riveleranno degli «asini matricolati», come pensava Keynes, bisognerà prendere di petto la sfida che rappresenta, per il buongoverno, il potere finanziario». 

L’Unità, 16 giugno 2013 (continua)

Dolores è una brava persona

Alle manifestazioni di stupida intolleranza seguite alla nomina del ministro Cécile Kyenge ieri si è aggiunto un nuovo, inqualificabile episodio, con le vergognose dichiarazioni di Dolores Valandro, leghista, consigliera di quartiere a Padova, la quale si è spinto fino ad augurarsi che la ministra venga stuprata: «così, tanto per capire cosa può provare la vittima». Che una donna possa pensare di un’altra donna che può capire quale violenza sia uno stupro solo essendo a sua volta stuprata, è un’aberrazione che si fa fatica anche solo a riferire. continua

(L’Unità, 14 giugno 2013)

Prescrizioni

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«Per colpa di un accento/ un tale di Santhià/ credeva d’essere alla meta/ ed era appena a metà». Ma magari fosse arrivato almeno a metà! Non quel tale della poesia di Gianni Rodari, dico, ma il processo sui rifiuti, su cui ieri è stata messa una pietra tombale. Nessuno in verità si era illuso che sarebbe arrivato alla meta: già lo scorso anno era a tutti chiaro che le udienze sarebbero continuate, il dibattimento sarebbe proseguito, ma – altro che metà! – il processo non sarebbe arrivato nemmeno alla sentenza di primo grado.

E così è stato. E però, ora che la prescrizione è intervenuta, non si può non rimanere amareggiati e indignati. Anche perché non si trattava certo di un processo qualunque (come se poi, per le parti in causa, i processi potessero mai essere processi qualunque), bensì di un giudizio portato sulla vicenda che più ha influito sulla vita pubblica della Regione Campania, e di riflesso persino sulla vita nazionale: trovarsi ora dinanzi non ad un verdetto, ma ad una prescrizione, appare come la riprova, l’ennesima, del fallimento clamoroso della giustizia nel nostro Paese.

Perciò, se anche disporremo in un’unica filastrocca e diremo tutto d’un fiato che Roma è stata la culla del diritto e l’Italia la patria della prima scuola giuridica al mondo ed è stata ed è ancora il paese degli Azzeccagarbugli ma è pur sempre il paese che ha dato i natali a Cesare Beccaria – ecco: quand’anche volessimo provare a consolarci così, non avremo attenuato di una virgola lo scandalo per vicende processuali di enorme significato politico che finiscono, però, nel nulla. Tra soldi spesi inutilmente, tempo ed energie sprecate e, inevitabilmente, diritti calpestati.

Non senza però che si producano effetti. Non effetti di giustizia, ma effetti politici e mediatici che della giustizia non conservano neanche l’ombra. Le parole che sono state pronunciate ieri in aula dall’accusa, circa le gravi responsabilità della struttura commissariale negli anni in cui fu guidata da Antonio Bassolino, benché non approdino a nulla e non siano recepite (né peraltro respinte) in una sentenza, non cadono infatti nel vuoto, ma finiscono sui taccuini dei cronisti, e rimbalzano nei servizi televisivi. È il sacrosanto principio della pubblicità del processo (in questo caso, peraltro, assicurato con molta fatica): guai a toccarlo. Ma esso si traduce, di fatto, nella seguente maniera: siccome i processi non si riescono più a chiudere, siccome non terminano più dove dovrebbero, cioè nelle aule, vediamo allora di pronunciare sonore requisitorie a beneficio, almeno, dell’opinione pubblica. Così però non è un beneficio, bensì un maleficio, un avvelenamento del dibattito pubblico. La penalizzazione diviene infatti una stigmatizzazione mediatica, in mancanza di meglio. Il processo non ha più come possibile esito la pena, ma costituisce esso stesso la pena. E la prescrizione, che un altro elementare principio di civiltà giuridica richiede a tutela degli imputati, perché nessuno può essere sottoposto a processo vita natural durante, diviene invece orrendo motivo di biasimo per chi ne fruisce. Ancora un sacrosanto principio rovesciato: se io devo rinunciare alla prescrizione per dimostrare la mia innocenza – altrimenti è come se ammettessi implicitamente di essere un farabutto -, vuol dire che non si tratta più di dimostrare, a processo, la colpevolezza, come il diritto invece richiede.

Ma quale vita economica, quale vita politica, quale vita civile può fiorire in simili condizioni? Con la prescrizione di ieri, è come se la materia del processo percolasse un’altra volta, e questa volta non nel martoriato territorio campano, ma direttamente nel tessuto sociale del paese.

«Il mondo sarebbe bellissimo, se ci fossero solo i bambini a sbagliare», annotava Rodari nel suo libro degli errori. Ma non si illudeva: sapeva ben che non basta correggere i dettati, gli accenti o le doppie: bisognerebbe correggere il mondo. Solo che dei luoghi a ciò deputati da noi non ce n’è uno che funzioni, e quelli che si ergono a correttori del mondo parlano ormai da altre, più comode tribune, dove non si perde tempo con notifiche, collegi e terze parti. Meglio allora sorridere di quel tale di Santhià, o di quell’altro che voleva correggere addirittura la Torre di Pisa, perché altri motivi di sorridere, purtroppo, dopo l’udienza di ieri non ce ne sono.

Il Mattino, 11 giugno 2013

Dice il saggio

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Scrive ad esempio Ernst-Wolfgang Böckenförde: «Il potere costituente deve essere concepito anche come entità politica reale, che fonda la validità normativa della costituzione. Come tale, non può certo sussistere all’interno o sulla base della costituzione, ad esempio come un organo da essa creato, ma deve preesistere alla costituzione e ai pouvoirs constituées da essa delimitati e regolati. Proprio in questa pre- e sovraordinazione rispetto ai pouvoirs constituées vi è la peculiarità del potere costituente».

Ora, io non credo di aver portato, con le parole dell’eminente giurista tedesco, un esempio indovinato.

(L’Unità, 9 giugno 2013: continua qui)

Auster, Coetzee e i cavoli nostri

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Paul Auster, americano di origine ebraica, è scrittore internazionalmente noto. È l’autore della Trilogia di New York e si divide tra narrativa, poesia, cinema: sua è la sceneggiatura di Smoke, il bel film con Harvey Keitel. John Maxwell Coetzee, sudafricano, è anche lui tra i massimi scrittori viventi ed è stato insignito del premio Nobel della letteratura, nel 2003. 

(L’Unità, 2 giugno 2013: continua)