Ora che l’indagine sulla Coppa America porta all’iscrizione nel registro degli indagati di Luigi De Magistris, attuale sindaco di Napoli, Luigi Cesaro, Presidente della Provincia all’epoca dei fatti, e Stefano Caldoro, attuale governatore della Campania, è doveroso porre almeno una domanda circa, ad un tempo, i limiti dell’azione giudiziaria, l’autonomia e la responsabilità della politica, la retta cura dell’ordine pubblico. La domanda non riguarda l’ipotesi di reato, non entra nel merito dei fatti, da tempo sotto la lente della magistratura, neppure chiede di allentare minimamente i controlli penali sull’attività amministrativa di questo o quell’Ente. Ma il rispetto per l’indipendenza della magistratura, la fiducia non retorica nel suo operato e la convinzione che l’osservanza delle leggi sia un prerequisito fondamentale della vita democratica non possono spingersi fino al «sacrificium intellectus». Nessuna rinuncia all’esercizio della critica: l’intelletto, la facoltà di ragionare non possono essere provvisoriamente sospese o inibite da un avviso di garanzia. L’opinione pubblica ha anzi il diritto, oltre che il dovere, di guardare con seria preoccupazione alla piega che hanno preso gli eventi, e di interrogarsi ad alta voce intorno alle conseguenze di un’iniziativa giudiziaria che pone «sub judice», tutti insieme, tutti in un colpo solo, i massimi vertici dell’Amministrazione comunale, provinciale, regionale. Perché le conseguenze trascendono il caso specifico, e investono in generale le possibilità e il senso stesso dell’attività politica, così come può dispiegarsi In occasione di un evento di risonanza internazionale, che ha portato Napoli sotto i riflettori del mondo intero. In quella occasione, Comune, Provincia e Regione si sono mosse d’intesa, per individuare nell’Unione industriale guidata da Paolo Graziano, cioè nel più importante e rappresentativo soggetto imprenditoriale del territorio, il partner necessario per assicurare il buon esito dell’operazione. Vedremo quale seguito avrà questa iniziativa giudiziaria, che ipotizza una turbativa d’asta là dove c’era un accordo raggiunto tra, da un parte, gli enti locali, e, dall’altra, l’ente confindustriale campano, ma non ci si può non chiedere se non sia in questo caso la forma stessa dell’azione politica, la sua possibilità di entrare in relazione con settori larghi della società, con i corpi intermedi, con le rappresentanze di categoria, ad essere tenuta sotto scacco e ostacolata nel suo svolgimento.
Nessuno, sia chiaro, contesta la legittimità delle determinazioni assunte sin qui dalla Procura. Le contestazioni giuridiche sono materia di avvocati, prendono la strada dei ricorsi, delle eccezioni e delle controdeduzioni. Ma le obiezioni sono un’altra cosa, appartengono ad un altro campo, quello più prezioso – ed anzi essenziale in democrazia – della discussione pubblica. Che in questo caso deve essere il più possibile avvertita, sollecita e attenta, perché in questione è non solo la definizione del campo e delle modalità in cui si esercita l’azione amministrativa, ma anche il senso stesso della rappresentanza democratica. Forte è infatti la preoccupazione che simili iniziative frustino in ogni amministratore pubblico il coraggio dell’intrapresa, l’assunzione di responsabilità per gli atti di governo di una collettività, la volontà stessa di agire. Se ci volgiamo attorno, vediamo ovunque prevalere l’inazione, l’inerzia, il rinvio: non è possibile che l’unica azione che abbia energico corso e squillante autonomia, in questo paese, sia l’azione penale. Né è possibile che questo corso prenda a volte strade ben larghe e diritte, altre volte invece lente e tortuose. Non solo, ma di fronte a un colpo così fragoroso, che non fa meno clamore per il fatto che è solo un primo passo e un (cosiddetto) «atto dovuto», si sarebbe forse potuto sperare che fosse preso in maniera più collegiale, anche a tutela stessa dell’operato dei singoli magistrati. In casi del genere, infatti, non sono mai abbastanza le rassicurazioni circa l’assoluta assenza di qualunque volontà di interferire con il normale corso dell’attività politica. Speriamo dunque che ne verranno, di qui in avanti, di simili assicurazioni, non per il bene di una parte soltanto ma per il riguardo dovuto ad una corretta dialettica fra i poteri e le istituzioni democratiche.
(Il Mattino, 23 luglio 2013)