La rottura che conviene solo a Grillo

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“Tutto il mondo è un palcoscenico”, diceva Shakespeare, uno che di teatro se ne intendeva. Ora che grazie ai mezzi di comunicazione di massa la politica torna ad essere prevalentemente rappresentazione, spettacolo, forse se ne comprendono meglio le dinamiche guardando al modo in cui un tempo si scrutavano le vite a teatro. C’è una data, il 9 settembre, giorno in cui si riunirà la Giunta per le elezioni. E ci sono protagonisti e deuteragonisti che a quella scadenza si avvicinano recitando ciascuno la parte assegnata dal copione. Il Pdl non può mostrare alcuna acquiescenza verso la posizione dei Democratici: per il centrodestra, è come se la condanna di Silvio Berlusconi si apprestasse ad essere doppiata da un intollerabile giudizio politico. Bisogna invece attenersi al merito – dicono da quelle parti – le considerazioni squisitamente giuridiche devono prevalere, la legge Severino presenta dei profili di dubbia costituzionalità, non si può processare politicamente il Cavaliere. Il Pd sta sulle stesse assi, calca lo stesso palcoscenico e recita però la parte opposta: non può dunque mostrare alcuna condiscendenza verso un atteggiamento che giudica lesivo del principio di legalità, e che lo esporrebbe alle ire della base: le sentenze vanno rispettate, dicono i democratici, non vi possono essere quarti gradi di giudizio, la legge è chiara e lo era anche per il Pdl che l’ha votata non più di qualche mese fa.

E, proprio come a teatro, quando il dramma è tutto agito dalle parole, si succedono dichiarazioni e comunicati in cui gli uni rimbalzano sugli altri accuse e controaccuse: per il Pdl, è l’irrigidimento del Pd e quasi una volontà di vendetta a mettere seriamente in pericolo il governo Letta; per il Pd, è l’incapacità di tenere distinti il piano politico generale da una vicenda giudiziaria strettamente personale a mettere a repentaglio la vita del governo.

Ora però le parti sono così ben recitate, che la rappresentazione rischia di rovesciarsi bruscamente in realtà. Proprio come accade al patrono dei teatranti, San Genesio: mimo alla corte di Diocleziano, mise in scena un battesimo cristiano per il divertimento del truce imperatore. Ma nel corso della rappresentazione, toccato dalla grazia, si convertì realmente. Lo spettacolo proseguì, fino alla farsa del martirio. Solo che ormai Genesio, convertitosi,  era diventato cristiano per davvero, e Diocleziano gli riservò perciò la sorte dei veri martiri, facendolo flagellare e decapitare.  La farsa mutò in tragedia.

Ora, all’Italia non auguriamo nuovi flagelli e tragedie, naturalmente, ma se ci risparmiassimo anche uno spettacolo così caparbiamente eseguito da tutti gli attori politici non sarebbe male. Il rischio è infatti che, a furia di tirare la corda, tenere le posizioni, mostrarsi intransigenti, lanciare ultimatum, difendere principi  e mostrare la faccia feroce, si faccia la fine del santo, senza essere stati nemmeno toccati dalla grazia, che difficilmente visita la scena politica. In queste vicende, poi, c’è sempre qualcuno che si distingue per eccesso di zelo. Qualcuno che scherza col fuoco, qualche altro che inciampa casualmente su una miccia o schiaccia per sbaglio il pulsante del detonatore. Si rischia insomma di precipitare davvero nello scenario che tutti dicono di voler evitare: una crisi al buio, senza che il Paese sia uscito dalla recessione più lunga del dopoguerra, e con un Porcellum ancora tra i piedi con cui scegliere il nuovo Parlamento e magari riprodurre il medesimo stallo. Uno spettacolo che in verità non vorremmo veder replicato.

Tutti o quasi, in verità. L’unico che non vuole affatto evitare il voto ma lo chiede esplicitamente è Grillo (qualunque cosa pensino i suoi parlamentari al riguardo, la cui autonomia, a proposito di spettacoli, è inferiore a quella di una marionetta). Ma Grillo vuole il voto proprio perché vuole la crisi al buio, proprio perché vuole votare con il Porcellum, proprio perché insomma vuole spazzare via ogni continuità politica e istituzionale con l’attuale sistema di democrazia parlamentare, non avendo alcun ruolo da giocare in esso.

A teatro, una volta, quando il viluppo della trama si ingarbugliava a tal punto che persino l’autore non sapeva più come risolvere l’intrico, spuntava fuori il deus ex machina che rimetteva le cose a posto. Non pare però che le forze politiche dispongano oggi di una simile risorsa. Il Presidente Napolitano ha già provato a esercitare quel ruolo, ma siamo purtroppo daccapo: in prossimità di una crisi, e con sempre meno mezzi per evitarla. Invece dei colpi di scena, ci vorrebbe allora un supplemento di responsabilità politica, se almeno si ritiene di dover seguire l’interesse generale di evitare la crisi, non quello particolare di addossarla agli altri. Ma lo spettacolo continua, il giorno nove si avvicina, e l’autore della pièce ha così ben nascosto la soluzione del dramma che nessuno al momento sa se tutto finirà col martirio oppure con un salvataggio in extremis.

(Il Mattino, 5 Settembre 2013)

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