Una cosa di sicuro gli italiani l’hanno capita: a torto o a ragione, il Pdl vuole l’abolizione dell’Imu. Non si può dire invece che abbiano capito che cosa, al riguardo, vuole il Pd. Ieri è stato ritirato l’emendamento a firma Pd, con il quale si reintroduceva la tassazione per le dimore di lusso, ma il concetto di lusso sotteso alla proposta del partito democratico era così largo e comprensivo che chi scrive, con l’occasione, ha scoperto improvvisamente di vivere per l’appunto nel lusso, dal momento che la rendita catastale dell’appartamento di proprietà supera, sia pure di poco, il tetto dei 750 Euro indicati nell’emendamento. Poco male: bisognerà che me ne convinca, e rifaccia i pavimenti. Ma resta che nel giro di pochi mesi i democratici sono passati dalla ferma contrarietà all’abolizione totale dell’Imu all’accettazione di un compromesso col Pdl e al rinvio della prima rata; poi di nuovo alla contrarietà e al tentativo di reintrodurre la tassazione sugli immobili di maggior pregio, infine ad una frettolosa e non proprio onorevole ritirata.
Ora, un andamento così curvilineo ben difficilmente può essere attribuito ad un sapiente disegno strategico. Ma se non è strategia, di cosa si tratta? Due sono le ipotesi. La prima è che si tratti di semplice insipienza di singoli deputati, o della difficoltà a governare un gruppo parlamentare decisamente più ampio della forza effettiva del partito (non solo elettorale) e profondamente rinnovato: sia detto, questo, a futura memoria dei laudatori a tutti i costi del rinnovamento della politica. Poiché però anche Monsieur de La Palice capirebbe senza sforzi che se c’era una cosa che il Pd non avrebbe mai potuto ottenere, in questo frangente, da Alfano e dai «governisti» del centrodestra, era proprio la riproposizione dell’Imu, allora è ragionevole propendere per la seconda ipotesi. La quale dice che: non sono pochi, nel Pd, quanti si propongono di gettare scompiglio non solo o non tanto nel campo del centrodestra – che anzi ha potuto ricompattarsi dietro lo slogan del rifiuto della tassa sulla casa – quanto nel governo e nel Pd stesso.
Naturalmente, le proposte puramente tattiche (e di una tattica mal riuscita, visti i risultati non brillantissimi) prosperano nelle fasi precongressuali, prosperano quando più attori si contendono il campo con opposte ambizioni, prosperano infine quando manca una chiara visione politica. Ora, che la prima condizione sussista è fatto legato al calendario, fa parte della fisiologia politica e non mette conto di discuterne. Quanto alla seconda, che produca capolavori di tatticismo è fin troppo evidente. Basta prendere la dichiarazione di Renzi di ieri, a proposito di Imu: “Si mettano d’accordo, per me va bene qualsiasi soluzione”. Ora, che il candidato più accreditato alla segreteria del Pd, e magari futuro leader di governo, trovi che vada bene «qualsiasi soluzione» a proposito del gettito Imu, non so bene se debba far solo sorridere o, anche, preoccupare
Quanto in ultimo alla terza condizione, mettiamola così: ricordando Luigi Spaventa, Franco Debenedetti ne ha indicato il ruolo nell’aver favorito l’evoluzione della sinistra comunista ed ex-comunista dalla «curva di Phillips a quella di Laffer». La curva di Phillips stabilisce una relazione inversa fra inflazione e disoccupazione: al decrescere della prima sale la seconda. La curva di Laffer stabilisce invece che oltre un certo limite di tassazione il prelievo fiscale smette di crescere, perché le imposte deprimono la crescita. Ecco il tema: la sinistra e le tasse. Ora, io non so a qual punto si sia compiuta l’evoluzione della sinistra italiana. Non so neppure se l’evoluzione debba avere sempre, in ogni ciclo economico, la stessa direzione: osservando lo stato di crisi in Europa, non disdegnerei neppure chi pensasse oggi che un po’ di inflazione aiuterebbe a liberare risorse pubbliche e a combattere la disoccupazione. Quel che però si può con qualche ragionevolezza affermare di sapere, è che tra queste curve il Pd sembra ancora sbandare vistosamente, senza riuscire a prendere una direzione precisa, o a trovare una sintesi. E più passano i giorni, più viene il timore che il Pd il congresso non lo faccia sulla strada da prendere, ma sui pensierini semplici di Renzi o sulle proposte le più fumose e involute, figlie soltanto del desiderio di complicare i percorsi e accidentare il terreno. Le strade diritte, il Pd fa ancora fatica ad imboccarle.
(Il Mattino, 9 ottobre 2013)