Le percentuali decretano il successo di Renzi. Che in vista del voto aperto delle primarie dell’8 dicembre porta a casa il 46,7% dei consensi tra gli iscritti al partito. Ma Cuperlo va meglio del previsto, raccogliendo il 38,4%: quella che doveva essere una passeggiata trionfale per il sindaco di Firenze si sta rivelando invece una battaglia vera, il cui esito rimane aperto. Non tanto perché la distanza fra i due principali contendenti appaia colmabile – benché evidentemente lo sia, sul piano strettamente numerico – ma perché, sul piano politico, il successo di Renzi non sembra più avere lo smalto dei primi tempi. Nella sfida con Bersani, il profilo del sindaco rottamatore era inequivocabile: da outsider, lontano dalle oligarchie di partito, Renzi poteva incentrare con disinvoltura il suo messaggio sull’idea che bisognasse innanzitutto mandare a casa un intero ceto politico. E siccome significa qualcosa che da venti e più anni a questa parte – da Bossi a Berlusconi a Grillo, passando anche per la fiammata di Veltroni – tutti coloro che finora sono apparsi vincenti nell’agone politico hanno sempre premuto sul pedale del rinnovamento (e dell’altrui pensionamento), non fa meraviglia che anche Renzi abbia pensato bene di schiacciarlo con forza. L’abilità comunicativa faceva il resto, e il vento dell’opinione pubblica gli gonfiava le vele.
Ma in quest’ultima campagna congressuale Renzi è entrato da favorito: la novità si è così un po’ appannata in un gioco di equilibri ed alleanze che ne hanno attutito almeno in parte il registro principale. Non solo, ma la necessità di tenere fin da subito in vista il nodo della «coabitazione» con il governo in carica si è tradotto in una miscela di tatticismo e spregiudicatezza, che ha accorciato le distanze del sindaco dal nefasto «teatrino della politica». In ogni caso, forse perché le vittorie brillanti non sono mai brillanti come quelle a sorpresa, sta il fatto che il risultato di ieri è molto meno dirompente di quanto forse ci si attendeva.
Né può trattarsi semplicemente del peso inerziale del vecchio apparato di partito, che mal digerisce la novità di Renzi. Innanzitutto perché è sbagliato definire voto di apparato il voto degli iscritti: comunque si pensi di cambiare i partiti, e qualunque pastrocchio venga combinato con il tesseramento dall’una o dall’altra parte, sarebbe bene mantenere questa misura di rispetto nei confronti degli aderenti a un’organizzazione politica. In secondo luogo, e sopratutto, perché nelle precedenti primarie i risultati nella platea più ampia dei simpatizzanti ed elettori si sono mantenuti allineati a quelli dei circoli, sicché non c’è da attendersi sfracelli dal voto dell’8 dicembre. Allo stato, i rapporti di forza dicono, e probabilmente ripeteranno nel voto finale, che l’area di consensi che si riconosce nella proposta in senso lato socialdemocratica di Cuperlo è vasta, nient’affatto residuale ma anzi consistente e in certe aree del paese ben radicata.
In fin dei conti, questo è il punto. Il voto per Cuperlo ha contorni ben riconoscibili: rileva poco se siano vecchi o nuovi, rileva invece se l’idea «tranquilla» di partito e di sinistra che Cuperlo propone – fatta di dignità del lavoro, di difesa del ruolo pubblico nell’economia, di diritti civili e sociali in primo piano, di un’idea del partito come comunità politica – sia premiata perché rassicurante per una larga fetta dell’elettorato. Il confronto ovviamente ne guadagnerebbe se dall’altra parte Renzi tenesse fermo un profilo liberal altrettanto ben delineato, senza accontentarsi della vittoria che la voglia di cambiamento gli consegna. La sua «rivoluzione radicale» non ha infatti ancora contorni precisi. Renzi sembra aver chiaro che ci sono sacche di conservatorismo da prosciugare, ma è molto meno chiaro quando si tratta di indicare dove si annidino. Basta vedere come si muove in queste ore sul tema della giustizia: in apertura della campagna elettorale aveva avuto parole inequivocabili sulla necessità di cambiare, ma nei confronti del ministro Cancellieri asseconda lo stesso clima e gli stessi umori che hanno finora frenato, piuttosto che aiutato, il cambiamento.
Forse, le doti di leadership e la capacità di rivoltare davvero la politica italiana Renzi le dimostrerà davvero il giorno in cui proverà ad andare anche contro vento, non solo a profittare della sua direzione.
(Il Mattino, 19 novembre 2013)