Dinastia De Luca. La politica non si rinnova

ImmagineDopo essere balzata agli onori delle cronache nazionali per il consenso quasi unanime raccolto da Renzi in città, grazie all’appoggio del sindaco e viceministro (fino a quando?) Vincenzo De Luca, Salerno rischia di tornarci un’altra volta l’8 dicembre, quando il programma principale della giornata prevede in tutta Italia la sfida delle primarie fra Renzi, Cuperlo e Civati, ma il sottoprogramma prevede il sostegno dei candidati locali all’Assemblea Nazionale, e nel collegio salernitano spicca il nome del capolista della lista di appoggio al sindaco fiorentino: non Vincenzo ma Piero De Luca, il figlio. Il quale ha l’arduo compito di far meglio del papà, che nel turno poi annullato di fine novembre portò in dote a Renzi la modica cifra del 97% di consensi, lasciando a Cuperlo la miseria di 50 voti.

Non è ovviamente la prima volta e purtroppo non sarà l’ultima che la passione politica si trasmette contagiosa di padre in figlio; in particolare al Sud, e non solo a Salerno e dintorni, è frequente la riproduzione patrilineare di quei micronotabilati locali di cui ha parlato Mauro Calise nel suo ultimo libro. Ma la diffusione patologica del fenomeno non lo rende meno spia di un malcostume diffuso, oltre che dell’impressionante fragilità dei partiti politici. L’opinione pubblica cerca affannosamente di trovare ragioni ed esempi per tornare ad appassionarsi alla politica e si trova respinta indietro da successioni dinastiche e conferimento di patrimoni politici in virtù di legami di sangue. Come se non ci fosse alcun bisogno, per i biologi, di inventarsi il discutibile seme della cultura: per la politica basta l’egoismo del buon vecchio gene familiare, la trasmissione avviene lo stesso. Non c’è mica solo Berlusconi col suo eterno conflitto di interessi, insomma. Lui, anzi, tra i tanti difetti ha almeno il merito di non aver (ancora?) indicato uno dei suoi figli al timone della neonata Forza Italia, De Luca invece questo scrupolo pare non farselo, e ha sacrificato per Renzi addirittura il figlio, perché togliesse i peccati (se ci sono stati) del precedente turno di votazione.

Altre storie si raccontavano degli dèi più antichi. Il padre di tutti, Zeus – uno che del potere doveva avere un’idea precisa, visto che per occupare la poltrona in cima all’Olimpo aveva dovuto rovesciare il padre Crono dal trono – pensò bene di donare agli uomini, che cercavano di difendersi dalle fiere radunandosi insieme e fondando città, il pudore e la giustizia, cioè i fondamenti della virtù politica, senza i quali gli uomini non avrebbero smesso di dividersi tra di loro. Ma li regalò a tutti, mica solo a uno dei suoi figli, perché tutti prendessero parte alla vita politica della città. Così, almeno, i greci immaginarono che dovesse governarsi la cosa pubblica.

Scendiamo ora appena un gradino al di sotto di Zeus, dalle parti del sindaco e viceministro De Luca. Vi troviamo tutta un’altra maniera di fare politica, e assai meno pudore (lasciamo perdere la giustizia). Né i figli sognano minimamente di ribellarsi ai padri: piuttosto, aspettano pazienti, come nelle famiglie reali, il momento della successione. Qui – si badi – non c’entrano nulla le inchieste della magistratura che investono o lambiscono il sindaco. Non c’entrano gli avvisi di garanzia perché sono appunto di garanzia, non di colpevolezza. Nell’occhio del ciclone mediatico che da qualche settimana ha preso a soffiare in città c’è anzi il rischio che l’attenzione venga distolta dall’anomalia tutta politica rappresentata da un consenso che non sarebbe imbarazzante, se non pretendesse di trasferirsi per primogenitura. E se non cozzasse clamorosamente con la modesta esistenza del partito democratico cittadino. Che ha percentuali di votanti da far impallidire la Toscana o l’intera Emilia Romagna, e tuttavia ha una vita interna ridotta al lumicino: non discute delle opzioni congressuali neanche per sbaglio, non organizza le tradizionali feste annuali del partito, non ha un vero radicamento nel tessuto sociale e civile della città (ma ce l’ha, ovviamente, nelle società a capitale pubblico). Ed evidentemente non ha neppure una classe dirigente all’altezza se, tolto il padre, non c’è che il figlio che possa mantenere gli stessi livelli di consenso.

E così, nel microcosmo di una città di provincia, in cui pure si ha il privilegio di amministrare senza gli affanni delle «strane maggioranze» romane o le insufficienze dei sistemi elettorali ed istituzionali vigenti sul piano nazionale, si trovano riprodotti tutti i limiti della politica italiana, nel tempo che non accenna a finire della seconda Repubblica.

(Il Mattino, 30 novembre 2013)

Una risposta a “Dinastia De Luca. La politica non si rinnova

  1. Mi sono chiesto varie volte da dove derivi e come si mantiene tutto questo consenso di Vincenzo De Luca visto che non è un Delinquente Pluripregiudicato come il Cainano che si comprava tutto.Mi sembra che Machiavelli per Salerno non ci sia mai passato quindi urge un’analisi psicosocioeconomica e politica che spieghi questo fenomeno.

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