Israele e Palestina? Due Stati: anzi, neppure uno

ImageLa grammatica politica della modernità, alla quale ancora apparteniamo, poggia su pochi concetti fondamentali: il popolo e la nazione, la sovranità e lo Stato, l’individuo e il cittadino.  Altre figure fanno la loro comparsa nel corso del tempo: la persona, ad esempio, oppure la classe, o il partito, modificando ma non compromettendo le relazioni fondamentali che si stabiliscono tra quei primi elementi. Ora, la tesi fondamentale del nuovo, prezioso libro della filosofa Donatella Di Cesare (Israele. Terra, ritorno, anarchia, Bollati Boringhieri) è che l’esistenza dello Stato di Israele non si lascia comprendere dentro quel plesso concettuale.  Il libro corre lungo due linee principali: la vicenda storica del sionismo e il suo rapporto con la nuova entità statale nata dopo la seconda guerra mondiale, da una parte; dall’altra, i fondamenti teorici di una politica pensata a partire da ciò che grazie al pensiero ebraico del ‘900 – Martin Buber, Gustav Landauer e Emmanuel Lévinas, sopratutto – eccede il perimetro della politica moderna. La data decisiva, intorno a cui tutto ruota, è proprio il ’48, l’atto di nascita di Israele: dopo quella data, ad essere “patria tra le nazioni” non è più il singolo ebreo, come era stato fino ad allora – e fino all’immane eccidio della Shoah –, ma lo stesso Stato di Israele, la cui posizione nel consesso internazionale rimane controversa (e da parte araba contestata in radice, fino a negarne l’esistenza stessa). Il ritorno degli ebrei nella terra promessa non spegne però la singolarità di una vicenda storica e messianica, che la Di Cesare si rifiuta di declinare come eccezionalità (che è solo l’opposto della sua reiezione). Questa singolarità è piuttosto un’alterità, un essere stranieri nella propria patria, sulla propria terra che può – anzi, deve – aiutare la politica occidentale a liberarsi della sua fascinazione per l’identità e le radici, e dalla sua letale statolatria, rivelatasi una volta per tutte dentro il recinto di Auschwitz. Sul suo fondamento è possibile anche proporre una diversa considerazione del conflitto arabo-israeliano, che non può per la Di Cesare trovare soluzione nella costituzione di due Stati per le due nazioni, israeliana e palestinese, quanto piuttosto nella disarticolazione della equivalenza nazione-Stato, e nell’oltrepassamento an-archico dell’idea stessa dello Stato. Ricollegandosi infine alla tradizione del socialismo utopico, contro il socialismo “scientifico” di Marx, Donatella Di Cesare disegna la figura di una cittadinanza aperta, ospitale, sganciata dalle chiusure mortifere del territorio e dello Stato, e i lineamenti teorici di un pensiero ebraico della giustizia che rifiuta radicalmente il momento machiavelliano del pensiero moderno: nessun fine giustifica i mezzi, e nessun mezzo violento consente mai di raggiungere un fine giusto.

(Il Mattino, 9 gennaio 2014)

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