L’incontro fra il segretario della Lega Nord, Matteo Salvini, e la leader del Front National, Marine Le Pen, fuga ogni dubbio: le contestazioni all’indirizzo del ministro Cecile Kyenge non possono essere derubricate alla voce folclore padano, ma definiscono una piattaforma politica. Anti-euro, ma soprattutto anti-immigrazione e xenofoba. Roberto Maroni, che è stato ministro dell’interno ed è attualmente presidente della regione Lombardia, prova, con massicce dosi di ipocrisia, a negare che vi sia del razzismo nelle posizioni della Lega: si tratta solo di critiche, dice, come se si potesse criticare il colore della pelle o la semplice presenza di un ministro di colore nel governo italiano. In attesa dunque di conoscere la definizione di razzismo di Roberto Maroni o di Flavio Tosi, cioè del volto gentile della Lega, e di capire come possa essere ristretta a tal punto da non includervi gli apprezzamenti riservati al ministro per la «negritudine», occorre comunque prendere atto del nuovo corso impresso con decisione alla Lega dal segretario Matteo Salvini. Il quale Salvini, a proposito della pubblicazione da parte del giornale La Padania, dell’agenda di appuntamenti del ministro per l’integrazione, ha a sua volta negato che l’iniziativa avesse un significato intimidatorio: «mica abbiamo scritto di andarla a picchiare», ha dichiarato, lasciando nel lettore il dubbio se stesse negando o più sottilmente denegando, così di fatto indicando il possibile passo successivo nell’escalation di attacchi indirizzati al ministro.
Che forse sono effettivamente destinati ad aumentare con l’inizio della campagna per le Europee. Ma questo non significa che bastino i timori o le aspettative per il voto di giugno del neo-segretario, chiamato a rilanciare la Lega dopo la fine dell’era Bossi e l’interregno di Maroni, per ridimensionare le preoccupazioni che simili atteggiamenti suscitano. È vero infatti che la Lega non ha mai mancato di alzare i toni, in simili circostanze, ma è vero anche che il passaggio dal populismo becero al razzismo dichiarato nell’avversione nei confronti dell’«altro», del «diverso», dello «straniero», non è così lontano dall’essere compiuto. E c’è il rischio che ben prima dei dirigenti politici, che scherzano con la materia cercando di lucrare a fini elettorali, sia l’elettorato della Lega a far propri comportamenti razzisti violenti e discriminatori. Francamente, non è un azzardo che possiamo permetterci.
E invece Salvini incontra Marine Le Pen, e la Padania fa l’elenco dei luoghi dove appostarsi per incontrare Cecile Kyenge. E il partito e il giornale della Lega accampano la libertà di opinione, la libertà di stampa, e mandano alti lai contro la censura e gridano al sequestro preventivo: non hanno mica detto che occorre impartire una punizione esemplare a questi stranieri che insozzano il suolo patrio, loro. E così, sempre non dicendo questo o quello, fomentano l’odio, alimentano l’intolleranza, minacciano la democrazia.
Quel che invece è da dire con forza è che c’è certamente un’Italia moderna, civile, aperta, rispettosa ed anzi amante delle differenze, che è pronta per un dibattito maturo e sereno sui temi dell’integrazione e per introdurre finalmente nella legislazione italiana una legge avanzata sullo ius soli, che allinei il paese alle più significative esperienze dei paesi occidentali. Questo è da dire, e da fare. Non minimizzare o prendere sotto gamba, perché la diffusione di movimenti razzisti e xenofobi nell’Europa di oggi, nonostante le terribili lezioni del passato, è un dato di realtà, che va contrastato con la massima fermezza. Finché infatti i venti di crisi continueranno a soffiare, sappiamo purtroppo – per la terribile esperienza che ha conosciuto l’Europa nel Novecento – che la risposta progressista non è affatto scontata, ma va anzi conquistata e difesa. E dunque: Matteo Salvini incontri pure Marine Le Pen; noi però non facciamo mancare al paese l’incontro con i socialisti e democratici europei.