Archivi del giorno: gennaio 22, 2014

L’eterna purezza. Quella sindrome da Livorno ad oggi

ImmagineSiccome tutto è cominciato con una divisione, nel ’21, e visto che ieri ne era anche l’anniversario, le dimissioni di Gianni Cuperlo hanno di nuovo sollevato il fantasma della scissione. Qualcuno ha detto che la storia, la «magistra vitae», insegna che da essa, in realtà, non si può imparare nulla, e perciò non tireremo in ballo né la nascita del partito comunista a Livorno, più di novant’anni fa, né la scissione di palazzo Barberini del ’47, da cui nacque il Psdi, né quella da cui nacque invece di Rifondazione comunista, oltre vent’anni fa, né alcuno degli episodi minori che punteggiano la storia della sinistra italiana. Resta però che le tensioni prodottesi nell’ultima Direzione del Pd, che ha approvato l’accordo raggiunto da Renzi con Berlusconi e provocato le dimissioni del presidente del partito, «debbono allarmare», come ha detto un altro esponente dimissionario di quel partito, Fassina, che per colpa di un «Fassina chi?» del segretario ha lasciato bruscamente il governo (salvo definire ieri «ottimo» il lavoro fatto da Renzi). Ma allarmare non per le ragioni che dice lui, cioè per mancanza di pluralismo interno, ma perché, si tratti o no di attacchi personali, quelli che Renzi causa col sorriso sulle labbra e la perfidia nelle parole sono movimenti tellurici profondi, in cui risuonano echi antichi, e che sommuovono il Pd ben oltre la normale dialettica fra maggioranza e minoranza.

La sinistra sembra tornare cioè prigioniera dell’idea che, per conservare intatte le proprie ragioni, bisogna tenerle al riparo e portarle fuori. Dentro non possono convivere, senza corrompersi. Su questo schema Francesco Piccolo ha scritto il libro che oggi rischia di vincere lo Strega: la sindrome della purezza, che porta con sé l’idea che alla guida del Pd ci sia oggi una specie di  Berluschino, qualcuno di estraneo alla tradizione storica della sinistra, un alieno che non rispetta le regole (o forse soltanto certe liturgie), e con cui perciò non si può stare insieme.

Ora, però, guardando un po’ fuori di casa nostra: nessuna scissione si è prodotta quando, per esempio, Tony Blair ha preso in mano il partito laburista e ne ha fatto il New Labour, spostandolo su posizioni neocentriste (la cosiddetta Terza Via). E neppure nell’SPD si sono verificati terremoti significativi, quando Gerhard Schroeder ha preso il partito che era stato di Willy Brandt e di Helmut Schmidt e lo ha portato anche lui su posizioni di «nuovo centro» (die neue Mitte). Ovviamente, questo non può né deve togliere un grammo al peso delle ragioni dell’attuale minoranza, anche perché il bilancio di quelle esperienze è tuttora aperto, storicamente e politicamente. Né è detto che Renzi intenda ripercorrere quelle strade (e soprattutto che sia più di sinistra Letta, tanto per stare ai termini reali della contesa in casa Pd). In ogni caso, come si è conclusa la Direzione incriminata? Con un voto. E quanti voti contrari ha ricevuto la relazione del segretario? Nessuno, solo poche decine di astenuti. E cosa succederà ora nei gruppi parlamentari? Vedremo, ma non si può dire che le regole della vita democratica di un partito non siano rispettate, per il fatto che il segretario fa battute sgradevoli o presenta l’accordo così come è stato raggiunto, cioè come un accordo complessivo, in cui le diversi parti sono legate insieme. La necessità che le lega insieme è, in effetti, di ordine politico, non giuridico-costituzionale: ma non per questo non esiste o non va considerata. Di punti da discutere ce ne possono essere, ovviamente, a cominciare dal delicato tema delle preferenze o dal rapporto che la legge stabilirebbe fra rappresentatività e governabilità. Ma una minoranza che non sapesse affrontare una discussione su questi temi dentro il Pd, e pensasse invece di portarla fuori, e lamentasse il carattere padronale della gestione renziana dopo nemmeno due mesi dalla sua elezione per via del carattere poco fiorito del suo eloquio, commetterebbe come minimo un errore di prospettiva.

Le passioni, diceva Descartes, sono lenti deformanti, che a volte ingigantiscono ciò che è piccolo e altre volte rimpiccioliscono ciò che è grande. Forse, allora, si tratta solo di questo: che di fronte alle importanti sfide che attendono il Paese, il governo, e pure il Pd, non sempre tutti inforcano gli occhiali giusti. Né discernono, a causa delle umane, troppo umane passioni, gli interessi reali in gioco.

(Il Messaggero, 22 gennaio 2014)