Se si batte il tempo insieme

ImmagineMa il governo: che fine fa? L’accordo raggiunto da Renzi con Berlusconi sulla legge elettorale non risolve il problema, ma anzi lo pone. E non si tratta di alimentare nuovamente sospetti sulle reali intenzioni di Renzi. Il segretario ha tagliato corto: mi accusavate di voler far cadere il governo per andare subito alle elezioni, e magari avrei pure avuto il mio tornaconto, e invece sono venuto a patti con Berlusconi per fare le riforme di cui si parla vanamente da vent’anni. Per fare la riforma istituzionale e per fare la riforma elettorale: non solo l’una o solo l’altra. E le riforme richiedono tempo. E dunque il governo deve durare almeno un altro annetto: se il disegno riformatore si compie, non c’è motivo di buttarlo giù.  Naturalmente, rimane ancora una subordinata: il percorso avviato si inceppa, e la situazione precipita subito verso le elezioni. Ma sta il fatto che per quanto forte sia l’accelerazione impressa in queste settimane, il percorso tracciato da Renzi «di persona personalmente» – come dice Agatino Catarella, l’agente del commissario Montalbano – deve pur sempre dispiegarsi in un arco temporale che il segretario vuole certo, definito, ma che, ribadiamolo, prende il suo tempo.

Di qui la domanda: nel frattempo, il governo cosa  fa? Con tutta l’attenzione mediatica che si sposta sulla segreteria del partito democratico, con l’avvio dei lavori parlamentari intorno alla legge elettorale, quali margini di azione restano al governo? Quali possibili risultati?Letta sarà anche bravissimo in politica estera, come ha detto qualche sera fa il leader del Pd: parla inglese, riceve regine e va in missione a Bruxelles; ma non è ancora il ministro degli Esteri di un governo a guida Renzi. E dunque? Delle due l’una: o il governo prova a vivacchiare nel cortile di casa nostra, galleggiando sugli umori parlamentari che variamente circoleranno in questi mesi, come un corpo quasi estraneo alla vera partita politica in corso; oppure si accorcia drasticamente la distanza fra il partito e il governo. La prima ipotesi si scontra però, innanzitutto, contro la dichiarata volontà di Letta di non rimanere a far la guardia al bidone. Il Presidente del Consiglio ha sempre detto che non sarebbe restato a Palazzo Chigi a qualunque costo, e il costo, per il paese, di uno stiracchiamento lungo un anno non sarebbe affatto un costo qualunque. In secondo luogo, sta il versante economico e sociale dell’azione di governo, quel piano di riforme a cui Renzi stesso ha alluso con il Jobs Act, rimasto però, per il momento, allo stadio di una serie di titoli. Può Renzi decidere di vivere quest’anno pericolosamente, sempre sotto i riflettori, mentre il governo a guida Pd sbriga solo l’ordinaria amministrazione? Può funzionare, per tutto il tempo che ci separa dalle prossime elezioni, o il Pd (e, va da sé, il paese) pagherebbe un prezzo assai alto per una simile condotta? Resta l’altra ipotesi, l’accorciamento delle distanze. Che difficilmente può spingersi fino all’identificazione: l’idea che Renzi possa guidare fin d’ora un nuovo governo di scopo, per un breve termine, convince poco anche come semplice suggestione. Ma il «rimpasto», concepito non per soddisfare questo o quell’appetito, spostare Tizio o promuovere Sempronio, ma per saldare i bulloni dell’esecutivo e consentire anche ad esso una corsa più spedita non è più un’evenienza improbabile. Perché, certo, Renzi è così tanto il nuovo che anche Enrico Letta sta rapidamente scivolando tra i vecchi, ma uno spettacolo del genere non tiene il cartellone per un anno intero. E non è detto che lo sketch non consumi anche il primattore, alla lunga. L’uno è rock, e l’altro è lento, direbbe Celentano. Ma allora o non ce la fanno proprio a stare insieme, oppure provano davvero a battere il tempo insieme. Almeno per un po’. 

(L’Unità, 24 gennaio 2014)

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