La democrazia svuotata

ImmagineCom’era in quel film di Woody Allen, «Io e Annie», quando in coda al cinema c’è l’intellettuale che sproloquia di Fellini e McLuhan – il mezzo è il messaggio – e spunta Marshall McLuhan in persona a confutarne le opinioni? Ecco, non vorremmo che ci toccasse in sorte qualcosa del genere, ma tutto questo streaming che il movimento cinque stelle ci sta regalando – prima streaming con Bersani, poi streaming con Letta, ora streaming con Renzi – meriterebbe un corso alla Columbia University su tv, media e politica. Perché i grillini lo presentano come un passo avanti sulla strada della democrazia futura, mentre quello che si vede è un terribile passo all’indietro, che con l’esercizio della democrazia non c’entra nulla. Figuratevi: uno pensa che accendere le telecamere nel luogo in cui il presidente del consiglio incaricato tiene le consultazioni consente di vedere in diretta web come nasce un governo, e scopre invece che la politica si sposta giocoforza altrove (non penserete mica che i ministri si scelgano davanti alle telecamere?), e l’unico effetto di una simile trovata è quello di vedere piuttosto Beppe Grillo tenere il suo spettacolo, beninteso ad uso degli spettatori e non certo degli interlocutori. Di interlocuzione non c’è anzi la minima traccia: il mezzo non lo consente. Grillo invece parla, interrompe, sproloquia: tutto fa meno che imbastire un discorso politico, la traccia di un programma, un elenco di priorità. Nulla, perché nulla del genere serve.

Grillo, d’altra parte, manco ci voleva andare. Ma sul blog hanno vinto i favorevoli e allora lui si è sobbarcato il viaggio alla volta di Roma. Ciò però non gli ha impedito di fare l’esatto contrario di quel che gli chiedevano in rete: anche Grillo fa dunque i suoi «colpetti di Stato». E mentre teorizza serioso che, in tempi di democrazia diretta, il mandato parlamentare deve essere meramente esecutivo, fa tutt’altro che eseguire quel che gli viene chiesto, quando tocca a lui interpretare il mandato ricevuto. Di diretto c’è solo il modo in cui lui dirige le cose. Sicché va, riduce al silenzio gli altri membri della delegazione pentastellata, e non si perita neppure di dare la parola a Renzi. Gliela toglie anzi subito, e gli spiega che «qualunque cosa dica non è credibile».

Qualunque cosa. Sicché Renzi non è credibile, la politica non è credibile, i partiti non sono credibili, e la democrazia fondata sui partiti – cioè l’unica che il mondo occidentale abbia conosciuto in età moderna – neppure quella è credibile. Discutere con Renzi avrebbe significato allora conferire una patente di credibilità al tentativo di formare un governo, e con esso alle forme costituzionali in cui il tentativo è calato, e Grillo quella patente non intende rilasciarla. Come accidente secondario, però, sta il fatto che ha contemporaneamente ritirato la patente anche ai suoi stessi capigruppo, ai quali pure ha tolto la parola. Se infatti con Bersani e con Letta Grillo era rimasto in Liguria, questa volta a Roma è andato di persona, forse perché temeva l’abilità comunicativa di Renzi, forse perché non si fidava dei suoi o non li giudicava all’altezza, o forse perché tocca soltanto a lui interpretare la scena madre. Quale che sia stato il motivo, il risultato è quel che si è visto: non un colloquio, non un confronto, non una discussione, nulla di neanche lontanamente democratico, ma uno solo che parla mentre tutti gli altri azzittiscono.

In cosa è diverso questo schema dagli show del comico genovese (di cui Renzi, in un eccesso di «captatio benevolentiae», ha confessato di aver comprato in passato tutti i biglietti)? In nulla. Ma questo è quello che passa lo streaming, e il discrimine sul quale si gioca la partita politica rimane perciò uno soltanto: credito o discredito. Personale, beninteso: non istituzionale. Davvero ci vorrebbe allora McLuhan, per definire la mediatizzazione della politica come quella trasformazione dell’esperienza in cui lo svuotamento dei contenuti è direttamente proporzionale alla procurata finzione di immediatezza. D’altra parte: cosa c’è di più immediato di un insulto, di un attacco personale, di uno sberleffo o di una battuta salace? Cosa c’è di meglio per rappresentare la frustrazione crescente dell’elettorato (e però per non far altro che rappresentarla, nel senso teatrale, cioè spettacolare e non politico, dell’espressione?) Chi infatti si seguirebbe lo streaming di Grillo, se Grillo non regalasse al pubblico una sua performance? Perciò: fuori i secondi, fuori Crimi e Lombardi e quelli che son venuti dopo, e dentro direttamente lui, il primattore.

Coi risultati che abbiamo visto: in termini di ascolto, sì, ma anche, di salute della politica e della democrazia. 

(L’Unità, 20 febbraio 2014)

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