I gemelli contesi sono nati. E sono già stati registrati all’anagrafe. Rimangono però contesi poiché, a causa dello scambio di provette avvenuto in ospedale, nove mesi fa, di coppie che rivendicano la genitorialità su di loro ve ne sono due: i genitori biologici, il cui ricorso contro la registrazione è stato ieri respinto, e i genitori che ne hanno accompagnato la vita prenatale dopo l’impianto degli embrioni fino al parto. La battaglia legale proseguirà e non sarà facile per i giudici che saranno ancora investiti del caso giungere a una decisione. Non lo è neppure, in abstracto, per il giurista, che vede bene come siano in gioco diritti e valori diversi, ma tutti fondamentali. La madre che ha partorito non accetta di essere ridotta a mera incubatrice, mero recipiente dei due bambini appena nati, ma d’altra parte i genitori biologici non rinunciano a considerare «loro» neonati che hanno il loro stesso sangue – come si sarebbe detto una volta. E se poi un domani i gemelli, ormai cresciuti, chiederanno di ricongiungersi ai genitori naturali? Questo non è un caso di adozione, né di donazione di seme. All’origine c’è un errore, di cui nessuna delle coppie coinvolte porta la responsabilità. E nemmeno, è evidente, i gemelli contesi. Chi allora ne dovrà portare le conseguenze?
Sembrano domande genuine, autenticamente problematiche. E tali in effetti sono. Per tutti, salvo per un ristretto tipo di persone: per gli scienziati. Beninteso: lo scienziato che, fuori dal suo laboratorio, mantiene tutti i dubbi che affliggono la restante umanità, non fa eccezione. Ma c’è anche lo scienziato che invece è convinto che un caso come questo si decida in laboratorio – di solito: nel suo –, in base alle ultime acquisizioni della scienza. Che dunque tribunali, pulpiti o cattedre non detengono alcun vero «sapere» in base al quale dirimere la questione. Forse il giudice farebbe meglio a nominare un tecnico e a lasciare che sia quest’ultimo a sbrigarsela con la domanda: di chi sono figli i gemelli contesi? Che cosa, ad esempio, dice la genetica al riguardo?
Mi prendo una pausa. Non intendo mettere in discussione nulla del lavoro dello scienziato. Sarei sciocco se pretendessi di negare una qualunque delle scoperte o delle tecniche scientifiche che si mettono a punto nei laboratori di tutto il mondo. Né intendo dire che quelli scientifici sono pseudo-concetti (Croce) o che la scienza non pensa (Heidegger). Non intendo neppure rispolverare vecchie polemiche sulle «due culture», e se qualcuno vorrà dire che in Italia abbiamo troppi letterati ed è la cultura scientifica ad essere carente – troppo poco considerata, promossa, sostenuta – nolo contendere: non è questo che voglio contestare.
Intendo piuttosto domandare: «genitore» è un concetto scientifico? Se sì, che ci dica pure lo scienziato tutto quello che ha da dire. Ma temo invece che non lo sia affatto. Perché contiene dimensioni storiche, psicologiche, affettive, culturali, che esorbitano di molto l’uso scientifico della parola, e che nessuna scienza, nessuna tecnica può esigere che siano sacrificate. Nessuno ovviamente impedisce allo scienziato di rigorizzare l’uso della parola: gli viene anzi necessario, proprio per evitare confusioni concettuali. Ma non vi sono, non vi possono essere risultati scientifici assodati in base ai quali decidere che cosa «significa» essere genitori (e cosa figli), e cioè: quale e quanta parte della nostra eredità umana, storica, linguistica vogliamo far transitare nella genitorialità che in maniera inedita si va disegnando oggi, e sempre più in futuro. Questo «significato» non è scritto nei geni, né da nessun’altra parte. Se perciò non saranno le cattedre di filosofia o di teologia, o gli scranni di un tribunale, o i pulpiti delle chiese ad essere meglio posizionati per prendere una decisione al riguardo, non possono esserlo nemmeno i più avanzati laboratori al mondo (ivi compresi quelli finanziati dalle industrie farmaceutiche). Fare dunque che basti ascoltare lo scienziato (il tecnico: il competente, insomma) dettare la percentuale di determinazione genetica del nascituro per decidere la contesa fra le due coppie di genitori non è affatto scientifico: è, anzi, decisamente stupido. Qualunque cosa si legga sui giornali a tal proposito.
Dopodiché non avremo forse dato una mano al giudice, per decidere, ma avremo – per una via forse insolita e purtroppo sempre meno battuta – provato a difendere la dimensione politica e pubblica della parola come spazio del dare e del rendere ragione, che qualunque competenza tecnico-scientifica può arricchire, senza che però nessuna possa comprimere fino a ridurla al silenzio. (E tanti auguri ai nuovi nati!).
(Il Mattino, 9 agosto 2014)