Due o tre cose di cui sono convinto, a proposito di Mezzogiorno, meridionalismo e partito del Sud. La prima: siano pure grandi o schiaccianti, le responsabilità storiche non assolvono mai dalle responsabilità politiche. Il che significa: per quanto sia importante, persino indispensabile, individuare le cause storiche del divario meridionale, per quanto possa essere utile, persino necessario, discutere e riflettere su colpe e ritardi delle classi dirigenti meridionali, non resta meno necessario attribuire ai soggetti politici su cui pesa oggi il compito di rappresentare l’interesse del Paese e del Mezzogiorno, le loro responsabilità. Una su tutte: quella di correggere radicalmente le politiche europee recessive, denunciandone gli effetti devastanti sul tessuto economico e civile delle aree più deboli del paese.
La seconda cosa si lega evidentemente alla prima: ci vuole un nuovo meridionalismo, una convinta rappresentazione degli interessi del Mezzogiorno, scrollandosi di dosso il peso di una cattiva coscienza che, se mai l’ha avuto, non ha oggi più motivo di essere, di fronte all’urgenza e alla drammaticità della crisi economica e sociale in cui versiamo. Il Sud non deve essere punito per sue colpe passate o recenti, e non deve nemmeno punirsi da solo, accettando di essere relegato in una posizione di subalternità.
Perché allora non fare un partito del Sud? La domanda è stata posta da Paolo Savona su questo giornale come una provocazione, ma anche come un auspicio o forse di più: come un invito pressante. Prima però di accoglierlo o respingerlo, credo che la domanda andrebbe anzitutto posta in termini analitici, lasciando perdere quello che vorremmo o non vorremmo che ci fosse, e domandandoci anzitutto perché c’è o non c’è. Si vedrà poi se quello che non c’è dovrebbe anche esserci.
E dunque: un partito del Sud non c’è innanzitutto e fondamentalmente perché non ci sono i partiti. Non ci sono da quando è finita la Repubblica dei partiti ed è venuta fuori una Repubblica senza partiti, o con surrogati di partiti, che si tratti di partiti-azienda oppure di sghembe coalizioni.
Così è andata almeno fino al maggio 2014, al voto alle europee. Se poi le cose cambieranno si vedrà. Ma questa è una osservazione decisiva, se, come io credo, la questione meridionale è davvero una questione nazionale. Se, in altre parole, non è pensabile, non è accettabile, non è neppure conveniente – non solo per il Sud, ma anche per il resto d’Italia – che permangano condizioni di così grave diseguaglianza. La Germania ha ragionato così, dopo l’89. Lo ha detto bene Isaia Sales: l’unificazione è stata interpretata dai tedeschi come un interesse di tutto il paese, non come un dovere di carità verso i più sfortunati fratelli dell’Est. Ma se questo è vero, allora c’è poco da dire: non può essere un partito a base territoriale la risposta migliore e più efficace.
Se però proposte del genere emergono, è appunto per il fatto davvero enorme a cui la politica italiana è inchiodata da vent’anni a questa parte. Ed è che non conta, non esiste o fatica ad esistere. Il che non toglie che per la sua non esistenza, per la sua inconsistenza, vi sia chi ci guadagna e chi ci perde. E questo tanto al Nord quanto al Sud: l’Italia è attraversata da linee di divisione che non sono solo geografiche.
Si dice partito del Sud, insomma, ma si deve leggere invece politica, politica degna di questo nome, partiti politici che tornino a farsi interprete dell’interesse nazionale, visto che (e finché) di una solidarietà europea non vi è traccia. C’è materia per una battaglia politica e ideale, ma non c’è bisogno di colorarla di rivendicazioni autonomiste o indipendentiste per dargli valore.
Se poi un fascino residuo la proposta di Paolo Savona di un partito del Sud dovesse ancora averlo, è perché si legherebbe a certi motivi identitari che secondo alcuni sarebbero radicati nella storia meridionale, del regno borbonico o di quelli che lo precedettero. Ma è davvero così? È la terza cosa che mi sento di dire, con un po’ di ruvidezza: non sono molti i cittadini meridionali che si sentirebbero sollevati dal gettare tutte le colpe possibili sui prefetti piemontesi che fecero l’Italia. Il Sud non è la Scozia, e non c’è motivo di rammaricarcene. Fare un partito del Sud, proprio come è accaduto al Nord con la Lega, temo si risolva solo nel lucrare sul discredito della politica e la sua crisi di fiducia e di legittimità, non certo contribuire a curarla e a venirne fuori.
(Il Mattino, 22 settembre 2014)