Lo si voglia no, ancora una volta la giustizia entra a gamba tesa nelle vicende politiche del Paese e rischia di decidere con i propri verdetti le sorti di un’esperienza amministrativa. La condanna in primo grado di Luigi De Magistris – per atti compiuti nel corso di una inchiesta, poi conclusasi in un nulla di fatto, che fu anch’essa gravida di conseguenze politiche – non è soltanto un fatto clamoroso, ma controverso, che l’opinione pubblica è chiamata a valutare; è anche, a termini di legge, un caso disciplinato in modo molto chiaro dalla normativa introdotta a inizio 2013, con la cosiddetta legge Severino (che meglio si chiamerebbe legge Cancellieri, visto che fu il titolare dell’Interno a portarla avanti). La legge infatti impone, fra le altre disposizioni, la sospensione dalla carica di sindaco in presenza di una condanna, anche non definitiva, per reati contro la pubblica amministrazione. È una legge dello Stato, perfettamente in vigore, e prevede che, dopo la condanna, parta semplicemente la comunicazione al prefetto dei provvedimenti giudiziari assunti. Il quale prefetto notifica all’interessato. E là finisce.
Sia chiaro: non è una legge di cui la nostra civiltà giuridica possa menar vanto: è anzi lesiva, o perlomeno gravemente restrittiva del principio di non colpevolezza fino a sentenza passata in giudicato, principio cardine di tutti gli ordinamenti liberali. Ma in un momento di profondo sbandamento politico, con il governo Monti in difficoltà,il grillismo che montava e le elezioni sempre più vicine, si voleva evidentemente dimostrare ad un’opinione pubblica esacerbata che le molte emergenze del Paese (in primis la corruzione) venivano comunque affrontate. In quelle condizioni, si faceva valere un rapporto di proporzione inversa fra credibilità della politica e risposta giustizialista: quanto più bassa era quella, tanto più necessaria era questa. Bisognava perciò fare una legge che facesse in automatico quel che la politica non era evidentemente in grado di fare.
E tuttavia, benché possa dispiacere, la legge adesso c’è, e garantismo è pure applicare le leggi che ci sono, per quanto esse siano criticabili. Anzi criticabilissime. Se infatti sindaci e presidenti di regione e presidenti del consiglio possono essere sbalzati di sella da un’inchiesta, o da un esito processuale ancora appellabile, vuol dire che qualcosa continua a non funzionare, tanto più se De Magistris – come gli auguriamo – andrà assolto in appello. E tuttavia ripetiamolo: non si può certo fare come se la legge non vi fosse o fosse disapplicabile.
C’è ancora qualcos’altro da dire. L’abuso per cui De Magistris è stato condannato ebbe conseguenze: la sua inchiesta calabrese provocò un terremoto politico. E così, mentre De Magistris può appropriarsi del verso di Dante, i suoi imputati (i Mastella, i Rutelli) avrebbero potuto usare allora le parole che il Sindaco usa oggi: «non mollo, resisto e lotto per la giustizia». Solo che alcuni di loro furono comunque costretti a mollare, pur non essendo arrivata una condanna e senza che fosse in vigore la cosiddetta Severino (che meglio si chiamerebbe legge Cancellieri, visto che fu il titolare degli Interni a portarla avanti).
Forse, di fronte all’ennesimo cortocircuito fra politica e giustizia, la cosa migliore è che la politica provi a recuperare la sua autonomia, pur nella distretta in cui s’è cacciata. Provi cioè a dare un senso, un corso e un esito proprio a quanto sta accadendo, invece di attendere la comunicazione degli uffici, o la notifica del prefetto. Che senso ha, ci chiediamo, barricarsi a Palazzo San Giacomo, tirar su il ponte levatoio e da lì provare ad andare avanti a dispetto di tutto? Napoli può permetterselo? Non c’è un dato politico di cui prendere atto? La spinta propulsiva della giunta De Magistris si è esaurita ormai da un pezzo, da molto prima che arrivassero i giudici con le loro sentenze. La distanza fra le aspettative suscitate e i risultati raggiunti, come pure tra la maggioranza che si è formata in Consiglio e il voto che portò De Magistris in Municipio è andata, nel tempo, ampliandosi. Né si può dire che questa vicenda contribuisca a ridurla, anzi. In simili condizioni di debolezza politica, ha senso infilarsi in una battaglia a suon di ricorsi e contrappelli? Ha senso proseguire a dispetto dei santi?
De Magistris ha tutto il diritto e finanche il dovere di protestare risolutamente contro l’ingiustizia che a suo dire sta subendo, ma valuti anche, con altrettanta risolutezza, se per governare Napoli possa a questo punto bastare chiudersi a doppia mandata nel recinto della propria maggioranza, non avendo più il rapporto con la città che aveva a inizio mandato.
(Il Mattino, 26 settembre 2014)
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