Archivi del giorno: ottobre 6, 2014

Solo con il voto si evita lo sfascio

Acquisizione a schermo intero 06102014 190613.bmpUna città senza sindaco. E non una città qualunque. Che si debba fare punto e a capo è scritto non in una sentenza, o nella legge, ma ormai nei fatti: Napoli non può restare per diciotto mesi senza sindaco. Non può misurarsi coi suoi grandi problemi, né può esprimere l’esigenza, sempre più indifferibile, di richiamare la politica nazionale ad una nuova e diversa attenzione per il Mezzogiorno in condizioni politicamente assai precarie, con un sindaco sospeso e un futuro gravido di incertezze. Non c’è tempo, non si può rimanere sospesi in un limbo, non si può fare come se nulla fosse successo: nel rapporto con il governo, nella collaborazione con gli altri livelli istituzionali, nell’interlocuzione con le forze economiche e sociali, nei riguardi della città intera la figura del primo cittadino, nel pieno dei suoi poteri e nell’interezza del suo mandato, è indispensabile. Come una squadra di calcio non può permettersi, nella fase più delicata della stagione, di giocare senza l’allenatore in panchina, così Napoli non può permettersi di giocare la sua difficile partita senza sindaco. E non può bastare finire il campionato accontentandosi dell’allenatore in seconda, o di quello della Primavera.

Nel corso della seconda Repubblica, la continuità dell’esperienza politica e amministrativa municipale ha rappresentato, anche grazie alla legge sull’elezione diretta dei sindaci, un punto di ancoraggio per cittadini ed elettori: quanto più i partiti politici apparivano in crisi, in cerca di un’identità e di una funzione, tanto più si disegnava con nettezza la figura del primo cittadino, interprete molto più autorevole del ceto politico di partito delle istanze della propria comunità. Ancora adesso, comunque se ne giudichi l’azione, i sindaci di Roma, di Milano, di Torino, di Genova, di Bari si stagliano una spanna sopra il contesto locale. E costituiscono la carta che le città giocano per rendere riconoscibile il proprio profilo dinanzi al Paese intero. Si passa da loro, insomma. Anche a Napoli, in fondo, è andata così. Con in più, però, la singolarità di un’esperienza politica priva di una vera proiezione nazionale. All’inizio, questo è stato un motivo di forza per il sindaco con la bandana che «scassava» il quadro politico locale; poi, però, è divenuto un elemento di debolezza, un fattore di fragilità, di isolamento. Che la sospensione naturalmente aggrava, spinge anzi oltre un punto di non ritorno. Se infatti è scritto in tutta la vicenda politica della seconda Repubblica che le città – individuate addirittura, con la riforma del titolo V della Costituzione tra gli enti sui quali poggia la stessa formazione della Repubblica – si riconoscano anzitutto nella figura del sindaco, non è pensabile che Napoli resti con il volto sfigurato.

E le forze politiche non possono non farsene consapevoli: ora tocca nuovamente (sarebbe bello se si potesse anche dire: finalmente) a loro. Il senso di responsabilità impone a tutti, alla maggioranza come alle minoranze presenti in Consiglio, di provare a superare l’impasse che si è determinato con il provvedimento di sospensione. Basta, del resto, dare un’occhiata alla proliferazione di liste e gruppi consiliari per capire che la crisi, precipitata a seguito del provvedimento prefettizio, può essere superata solo con una nuova composizione del quadro politico.  E questa via passa inevitabilmente per le urne: altra fonte di legittimazione non v’è.

A meno che non si voglia lasciare che un’altra scena venga allestita, e un’altra partita giocata: con il consiglio e la giunta a Palazzo San Giacomo, e il sindaco «sospeso» in giro per le strade, a lucrare su una pericolosa contrapposizione populistica tra la politica ufficiale e la città reale, la giustizia sostanziale contro la legalità formale. Altro che scassare: significherebbe giocare allo sfascio. Travestirsi da pescivendolo come Ferdinando, il re lazzarone, per pescare nel torbido dell’anima plebea della città. Ma Napoli può permetterselo?

(Il Mattino, 2 ottobre 2014)