«Azioni giudiziarie e lotta popolare»: è la tenaglia con cui si prova ad organizzare la resistenza, da un lato, contro la decisione del governo di affidare a un commissario di nomina governativa la gestione dell’area di Bagnoli e, dall’altro, contro una strategia di smaltimento rifiuti efficiente che non ci condanni a pagare nuove salatissime multe all’Unione Europea.
La cosa sorprendente (ma non troppo) è che quella coppia di termini è impiegata dal sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, che così lascia ufficialmente il campo dei poteri democratici per passare armi e bagagli dalla parte della contro-democrazia. Non si tratta di nulla che il sindaco che tutto voleva scassare non abbia già praticato, da ultimo nelle settimane di sospensione dalla carica di primo cittadino, ma che nelle parole usate contro il provvedimento del governo trova una formulazione perfetta, da manuale. Il manuale, s’intende, è quello del politologo francese Pierre Rosanvallon: scritto qualche anno fa, il saggio di Rosanvallon si intitola appunto, molto significativamente, «La contro-democrazia», e reca un sottotitolo non meno significativo: «La politica nell’era della sfiducia». Il libro prova infatti a rispondere alla domanda: come si esprime la partecipazione democratica, quando la politica istituzionale non gode più della fiducia dei cittadini? La complicazione ulteriore rappresentata dal caso De Magistris – cioè da un uomo delle istituzioni che pretende tuttavia di incarnare la sfiducia nelle istituzioni, e così di coagulare consenso – non era contemplata nel libro, che infatti è di qualche anno fa. Ma tutto il resto c’è: tutta la fenomenologia, varia e articolata nel tempo e nello spazio, di come si faccia sentire la voce dei contro-poteri più o meno spontanei, più o meno indipendenti, che vigilano, denunciano, manifestano e giudicano, e di come ne risultino diminuiti la democrazia rappresentativa e i pubblici poteri, tutto questo c’è ed appartiene alla diagnosi.
Quanto alla prognosi, forse c’è da essere un po’ meno ottimisti di quanto non fosse Rosanvallon, che nel libro salutava con qualche speranza le forme di partecipazione che si manifestano al di fuori dei circuiti della rappresentanza democratica, e invitava a non confondere questa politica «negativa» – politica della defezione e dell’astensione dalle urne, del rifiuto e dello scontento nelle piazze – con una pura e semplice depoliticizzazione della società.
Di fatto, però il risultato è proprio la confusione, a volte la paralisi, e sempre l’impaludarsi della politica in un gioco di veti reciproci e nel proliferare di istanze non legittimate democraticamente.
Non molto diversamente vanno le cose ad Acerra, dove minaccia di esplodere nuovamente la crisi dei rifiuti per la resistenza opposta dai cittadini al conferimento delle eco-balle di incerta natura. Gli attori investiti del problema sono la Regione, l’impresa, i comitati, e il vescovo. Sebbene le problematiche siano molto diverse da Bagnoli si assiste ad un analogo copione, in cui brillano per assenza i partiti. Sono sostanzialmente assenti sul territorio, privi di una elaborazione progettuale, privi anche della capacità di articolare i bisogni della popolazione, la quale dunque si auto-organizza, si esprime in comitati spontanei, preme sulle figure istituzionali lasciate sempre più sole a fronteggiare la protesta. La quale peraltro cresce e si forma come le bombe d’acqua: con la stessa, apparente casualità, in punti singolari e per singole tematiche. Di visione generale non c’è traccia. E mentre l’acqua cade giù, i partiti, invece, evaporano. Così si arriva alle mamme esasperate, che alle telecamere spiegano che i camion con le ecoballe andavano fermati «per il principio di precauzione». È una dichiarazione che merita di finire non già nei libri di scienze ambientali, ma sì in quello di Rosanvallon. E non solo perché le mamme sono in Italia un tradizionale contro-potere, ma perché l’unico modo di non agitare il principio della precauzione indipendentemente da ciò che da esso principia – e cioè: sempre e comunque – è disporre di un opposto principio di fiducia, cioè di affidamento ad un potere legittimo, sostenuto dalla mediazione dei partiti, che si accolla su di sé l’onere della responsabilità e, dunque, della decisione.
Ma questo affidamento è sempre meno possibile nelle forme tradizionali della democrazia rappresentativa. E in attesa delle forme nuove, mentre avanza la tanto celebrata disintermediazione, per ora sperimentiamo sempre più spesso soltanto la disarticolazione.
(su Il Mattino del 7 novembre 2014 , con il titolo «Se mancano i progetti la protesta ha vita facile»)