Per un’incredibile svista nel taglia e cuci finale, ho pubblicato stamane questo articolo eliminando il campione russo di scacchi Boris Spassky, trasformando così la sua sfida con Fischer in una sfida di Fischer con Karpov (che invece di Fischer fu il successore). Domani usciranno tre righe di scuse, Qui invece metto il pezzo corretto. Ci volevano gli scacchi perché compissi sul giornale un errore così marchiano.
Qualche settimana fa si è concluso la sfida per l’assegnazione del titolo di campione mondiale di scacchi. Ma la vera notizia, per noi italiani, è il prossimo campionato mondiale, le cui fasi cruciali cominciano col nuovo anno. Per la prima volta un italiano, Fabiano Caruana, potrà forse arrivare sino alla sfida finale con il campione in carica. Fatevi un giro in rete: scoprirete che Caruana, che oggi ha ventiquattro anni, è diventato grande maestro a soli quattordici anni (il più giovane italiano a conseguire tale titolo), e che attualmente è il numero due nel ranking mondiale, dietro solo al campione mondiale di scacchi, Magnus Carlsen. Si può dunque ragionevolmente sperare che sarà Caruana il prossimo sfidante. E accadrà forse per noi italiani quello che negli anni settanta accadde per l’Occidente intero, quando un americano pazzo e geniale, Bobby Fischer, riuscì a strappare il titolo all’Urss di Boris Spassky (che poi se lo riprese con il quadratissimo comunista sovietico Anatoly Karpov), portandolo dopo decenni in quello che una volta si chiamava il mondo libero. Ammettiamolo, gli scacchi non sono più gli stessi: una sfida al vertice non ha lo stesso sapore che aveva negli anni della guerra fredda, quando valeva quasi come una medaglia d’oro nella più prestigiosa gara olimpica; e non lo sono, in particolare, da quando le macchine sono riuscite a battere gli uomini in un’altra sfida epocale, fra l’allora detentore del titolo mondiale, Garry Kasparov, e l’elaboratore Deep Blue. E, tuttavia, che l’Italia arrivi sul tetto del mondo nel gioco degli scacchi potrebbe valere per noi quello che valse per gli americani negli anni Settanta: la dimostrazione, almeno simbolica, che il declino del paese non è irreversibile. Non sorprende dunque che dopo l’ultimo prestigioso successo (la Sinquefield Cup disputata a Saint Louis: il torneo più forte di tutti i tempi) il presidente del Coni Malagò ha pensato di incontrare Caruana, invitandolo al Foro Italico.
È probabile però che non gli abbia voluto solo fare i complimenti, ma che abbia anche provato a rafforzare in lui il convincimento che deve starci più a cuore: che cioè il giovane Fabiano continui a giocare per l’Italia. Caruana è infatti nato a Miami da genitori di origine italiana, ed ha quindi la doppia nazionalità. Per ora gioca con i colori italiani: domani chissà. A parte Bobby Fischer, che vinto il titolo pensò bene di ritirarsi dalle competizioni ufficiali, gli americani non hanno avuto altri campioni mondiali: non meraviglia dunque che la Federazione statunitense stia già pensando di allettare il giovane Fabiano con proposte assai vantaggiose. E così i prossimi appuntamenti mondiali stanno sotto una duplice incertezza: da una parte, non sappiamo ancora se Caruana arriverà sino in fondo nella partita mondiale; dall’altra, non sappiamo fino a quando confermerà la scelta di giocare per la bandiera italiana.
È un’incertezza che naturalmente interessa anzitutto gli appassionati del gioco: quelli che studiano le partite, affollano i tornei sparsi lungo lo stivale, giocano miriadi di match online. Come mai prima d’ora: Il movimento scacchistico nazionale è infatti in crescita, e certamente una buona mano gliela dà la popolarità che sta guadagnando Fabiano Caruana infilando una vittoria dopo l’altra. Ma sarebbe bello che anche un’opinione pubblica più ampia seguisse la vicenda e sostenesse la decisione del giocatore: sarebbe il segno che almeno un cervello può essere trattenuto, visto che tanti altri sono in fuga, e sarebbe anche un segnale di fiducia, in un ambito in cui solitamente sono ben altre potenze a contendersi il campo. Il campione del mondo attuale è infatti (fatto più unico che raro) un norvegese, per la gioia di quel particolare pezzo di Europa che è la Scandinavia. Intorno si affollano russi, azeri, armeni, georgiani. Incalzano anche gli asiatici: indiani, cinesi. La geografia continentale del gioco lascia dunque poco spazio all’Europa (e all’America) alla quale dopo tutto siamo affezionati, e che siamo abituati a considerare, per un vecchio riflesso, il centro del mondo. Non lo è. Sempre più spesso ci tocca di scoprirlo. E, certo: non sarà uno scontro di civiltà quello per cui faremo il tifo, ma se credete che sia una scontro da poco, vuol dire che non avete mai visto la determinazione ferocie e la cattiveria agonistica che due forti giocatori di scacchi mettono sulla scacchiera. Ce la mettesse anche il Paese, faremmo forse tutti un passo avanti.
(Il Mattino, 29 dicembre 2014)