I predicatori della violenza

Acquisizione a schermo intero 28012015 163437.bmpCi risiamo. La domanda è: «La violenza può ancora essere uno strumento politico?». E la risposta giunge forte e chiara: «Sempre. Da una parte e dall’altra». Sempre; non ogni tanto, non sotto un regime dittatoriale, non per legittima difesa: sempre. Una risposta così drastica non poteva venire che da uno scrittore autentico, anzi dal più autentico degli scrittori, da Erri De Luca, in tutte le librerie col suo ultimo libro e quest’oggi a processo per l’invito al sabotaggio dell’Alta Velocità in Val di Susa. Naturalmente, il processo è una cosa, l’intervista di ieri al Corriere un’altra. Il processo non potrà dimostrare che le parole dello scrittore hanno provocato azioni violente e illegali di cui De Luca sia responsabile, e perciò finirà giustamente con l’assolverlo da ogni accusa; l’intervista, invece, dimostra a sufficienza come De Luca la pensi, a proposito dell’uso della violenza e del suo rapporto con la politica. E cioè: peggio, molto peggio di come possa pensarla Luca Persico, la voce del gruppo musicale dei 99 Posse, che in rete aveva scritto: «Onore a chi lotta. Più bastoni meno tastiere!». Era una risposta (decisamente sopra le righe) al pestaggio subito da un ragazzo cremonese per mano degli attivisti di Casa Pound, ma Persico ha poi cercato almeno di metterci una pezza: ha definito infelici le sue parole, e ha aggiunto che non intendevano affatto istigare alla violenza.

Erri De Luca no. Lui tiene il punto. Sollecitato dal giornalista, proprio non gli riesce di prendere le distanze: né dalle parole di Persico, né tantomeno dalle sue proprie. Sabotaggio aveva detto, e sabotaggio ha da essere. Poi ricorre alla solita furbizia (dopo tutto c’è un processo che lo aspetta) e prende a chiamare sabotaggio ogni e qualunque cosa, in modo che non si capisca più se l’uso della parola sia metaforico e letterale, e il sabotaggio fisico o simbolico, materiale o ideale. E così non indietreggia ma mistifica, non ritratta ma imbroglia.

Ora, i funambolismi di De Luca, che non si spinge fino a dire di condividere le parole di Luca Persico ma non riesce nemmeno a dire che non le condivide, anzi tiene a precisare che le comprende, anzi le infiocchetta persino con la citazione della Marsigliese – la quale non invita forse i cittadini a prendere le armi? E così siamo a posto: se lo dice la Marsigliese, lo può ben dire chiunque! – quei funambolismi da indomabile reduce degli anni Settanta e della violenza politica di quegli anni ricordano vecchi tic ideologici che nell’intervista si vedono bene. Si vedono tutti. Cosa De Luca vuole farci capire, infatti? Che lo Stato è violento, e forse è il più violento: «Esiste una violenza pubblica che scatena reazioni inevitabili». Esiste, e non è possibile subirla senza reagire. L’assalto alla Polizia che non ha impedito il pestaggio del ragazzo di Cremona va dunque rubricato sotto la voce: reazione inevitabile. E sotto la stessa voce vanno rubricate anche le violenze in val di Susa. Reazione è la frase di Luca Persico, e reazione era pure l’istigazione al sabotaggio per la quale va a processo.

Reazione inevitabile, e reazione ovviamente giustificata. Violenza l’una, e violenza l’altra: sempre, da una parte e dall’altra, la violenza può intervenire e di fatto interviene come strumento politico. Erri De Luca tiene a dire che il suo passato di militante di Lotta Continua non c’entra nulla col processo, e ha ragione. Però le parole dell’intervista c’entrano, e come: un militante di Lotta Continua avrebbe ben potuto farle proprie allora, come De Luca le fa proprie ancora oggi. Sono passati – quanti anni? Quaranta? Cinquanta? – e lo Stato democratico non ha guadagnato agli occhi dell’inflessibile scrittore un solo grammo di legittimità in più. Non c’è la minima confidenza nelle istituzioni parlamentari, nello Stato di diritto, nei tribunali e nelle leggi. Nella maniera in cui De Luca descrive il comportamento delle forze di polizia, che difende i cantieri della Val di Susa, e quelli dei manifestanti che vogliono sabotarli, non c’è alcun cenno al fondamento si legittimità dell’una azione a differenza dell’altra. Al diritto con il quale agiscono gli uni, e all’assenza di qualunque spazio giuridico per il sabotaggio compiuto dagli altri. Allo stesso modo: all’aggressione subita non si risponde per le vie di legge, ma evidentemente nell’unica, inevitabile maniera che De Luca conosce:  inneggiando ai bastoni, rispondendo colpo su colpo, pestando a propria volta. Luca Persico ha capito di avere passato il segno con quella provocazione; Erri De Luca no, perché in tutta la sua storia intellettuale deve essergli rimasta l’idea che diritto e legge sono solo violenza organizzata. Sono, in ultima analisi, fascisti. E, se è così, va bene: ma che almeno ci risparmiasse la pensosità dello scrittore estremo responsabile delle sue parole. Forse la violenza è inevitabile, ma che ci eviti almeno di farci pure la morale.

(Il Mattino, 28 gennaio 2015)

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