Su una cosa il presidente Sabelli ha indiscutibilmente ragione: la riforma dell’istituto della responsabilità civile dei giudici non la si fa perché «ce la chiede l’Europa», perché pendono ricorsi alla corte di giustizia europea o perché fioccano multe contro il nostro Paese. Ma le ragioni dell’Associazione Nazionale Magistrati e del suo presidente, purtroppo, finiscono qui. La legge approvata dal Parlamento, che prova finalmente a rendere effettiva una qualche forma di responsabilità per il giudice che sbaglia, andava fatta per dare finalmente attuazione a un principio sacrosanto di civiltà giuridica. Per Sabelli, invece, grazie a questa legge «si tenterà di intimidire il giudice, anche se i giudici non si lasceranno intimidire». Ora queste parole meritano un’interpretazione attenta, anzitutto per escludere che Sabelli pensi che il ministro della Giustizia o il Parlamento italiano mettano in campo o anche solo favoriscano azioni intimidatorie nei confronti della magistratura. D’altra parte, anche Sabelli – come molti, come troppi – ha l’abitudine deleteria di riferirsi in generale (e in maniera, bisogna dirlo, qualunquistica) alla «politica», al pessimo segnale, al «messaggio» che la «politica» avrebbe dato. Ma non si tratta della politica e non si tratta di messaggi: si tratta del Parlamento e si tratta di una legge. Un magistrato dovrebbe tenerne meglio conto, anche nell’esercizio, pur libero e legittimo, del commento e della critica.
Ma cosa c’è che non va nella nuova normativa? Evidentemente il contenuto intimidatorio. Vorrà un giudice esporsi, se al cittadino sarà data la possibilità di intentare un’azione contro di lui? Sarà abbastanza sereno, ora che questa eventualità non è più meramente teorica, e l’ammissibilità dell’azione non sarà «filtrata»? Filtrata però da cosa? Il comunicato dell’Anm spiega: «da cause infondate per difetto dei presupposti». Ma che ottima cosa è la logica! La logica infatti (non Sabelli) qui ci soccorre: possiamo temere l’intimidazione dei magistrati italiani a colpi di cause infondate? Certo che no. Ma Sabelli sembra pensare invece che ogni serenità è perduta. Devo dire che «sembra» soltanto pensarlo, perché subito dopo aver detto che si tenterà di intimidire i giudici, aggiunge che però i giudici non si faranno intimidire. Io, in verità, ne sono convinto. Trovo anzi offensivo anche solo ipotizzare che possano esserlo. Nelle fila della magistratura ci sono stati e ci sono uomini che non solo non hanno mai fatto un passo indietro di fronte a ogni genere di minaccia o intimidazione, ma hanno messo a repentaglio la loro stessa vita per servire la giustizia. Domando: è credibile che questi uomini, questi coraggiosi servitori dello Stato, si rivelino improvvisamente pavidi per timore di perdere una fetta del loro stipendio? (E a proposito, ma per i troppo pavidi e i troppo negligenti non sono già previste azioni disciplinari da parte dell’organo di autogoverno della magistratura?).
Non solo. La riforma approvata dal Parlamento prevede che a giudicare se scatti la responsabilità civile del magistrato siano altri magistrati. Di chi o di cosa deve dunque avere paura il magistrato? Se avesse qualcosa da temere, perché non dovremmo pensare di qualunque cittadino che finisse dinanzi a un magistrato che deve provare lo stesso, oscuro timore? O forse è di questo che si tratta, della possibilità di intimidire solo ed esclusivamente i cittadini a processo, ma non mai i magistrati che irresponsabilmente procedono? Ma è questo che sta scritto in Costituzione? Così va interpretata la presunzione di innocenza? Il segretario generale dell’Anm, Maurizio Carbone, ha parlato di una «spada di Damocle» sopra la testa dei magistrati: addirittura! Ma su chi vuole invece che quella spada penda disinvoltamente? Perché di nuovo: se pende su un magistrato solo perché un suo collega giudicherà il suo operato, come non pensare che allora pende su tutti noi, quando dovessimo essere sottoposti per qualunque ragione a giudizio innanzi a un giudice che invece non ne risponde?
Il Presidente Sabelli butta poi la palla in tribuna. Sono altri i problemi della giustizia: la corruzione, la prescrizione… come no. Non ne dubito, anche se dubito di pensarla allo stesso modo pure su questi argomenti. E però mi chiedo: cosa c’entra? Nessuno pensa che con la riforma portata tenacemente in porto da questo governo e dal ministro Orlando si svuoteranno d’incanto i palazzi di giustizia e saremo tutti più buoni. Ma non si vede perché l’approvazione della riforma dovrebbe impedire al parlamento, all’opinione pubblica e all’Anm, ciascuno per la sua parte, di continuare ad occuparsi di corruzione o di prescrizione. E come si fa a giudicare frettolosa o prematura una legge che arriva dopo ben venticinque anni dal referendum voluto dai radicali, e di fatto rimasto lettera morta nei venticinque anni successivi?.
Gaia Tortora, la figlia di Enzo Tortora, ha ringraziato il governo. Ecco: noi ringraziamo Anna Tortora per aver aspettato venticinque anni, anche se, a quanto pare, per il presidente Sabelli doveva aspettare ancora.
(Il Mattino, 27 febbraio 2015)