Alla cerimonia di insediamento del nuovo Presidente della Repubblica, che durerà in carica fino al 2022, ci sarà anche Silvio Berlusconi. Tra gli stucchi del Quirinale, a fianco alle più alte cariche dello Stato, ci sarà anche il doppiopetto del Cavaliere. Non è affatto una presenza abusiva. Anche se una parte del Paese continua a pensarlo, l’uomo che è stato più a lungo Presidente del Consiglio nel corso di un ventennio, a cui ha finito finanche col dare il suo nome, ha ricevuto formale invito dal Colle. Dunque ci sarà: stringerà mani, scambierà opinioni. A volte anche gli aspetti meramente formali della vita istituzionale prendono un significato simbolico. Lo stesso dicasi delle impreviste coincidenze: nello stesso giorno, Berlusconi ha infatti avuto anche una buona notizia (ci voleva, in mezzo a tante brutte nuove): finirà di scontare la sua pena con qualche anticipo, già dal mese di marzo. E, dunque, non si sarà ancora spenta l’eco delle parole del Presidente della Repubblica nel suo discorso alle Camere, che già il problema dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi si troverà daccapo sulle scrivanie della politica. E, si può scommettere, di nuovo al centro del dibattito pubblico.
È inevitabile: si può pensare che il centrodestra, che Forza Italia, che il Cavaliere rinuncino a porre il problema, una volta che saranno terminate le visite settimanali ai malati di Alzheimer di Cesano Boscone? Certo, rimane di ostacolo la legge Severino, per via della quale Berlusconi è ancora ineleggibile. Ma, in primo luogo, quella legge viene considerata da più parti come incostituzionale, e la Suprema Corte dovrà presto pronunciarsi in merito. E, in secondo luogo, è sul tavolo la nuova normativa in materia fiscale, rinviata al 20 febbraio, i cui effetti potrebbero riverberarsi anche sullo status del Cavaliere. Vedremo cosa Renzi deciderà al riguardo, e cosa il nuovo Presidente sarà chiamato a firmare.
Ma come che sia riguardo all’una o all’altra possibilità – o ad altre ancora, che fossero allo studio – rimane il fatto, politicamente assai rilevante, del principale leader dell’opposizione, che può prendere parte alle cerimonie del Quirinale su invito ufficiale della Presidenza, stringere patti con il Presidente del Consiglio nelle sedi del governo o del suo partito, partecipare ai processi di riforma elettorale e costituzionale, avendo nel frattempo terminato di scontare la pena ma non potendo tuttavia ancora candidarsi a nulla.
Naturalmente, c’è un modo molto semplice di affrontare questo problema: negandolo. Negando, cioè, che la politica abbia le sue ragioni anche se a volte la legge le disconosce. Di sicuro c’è però che la legge, in uno Stato di diritto, non può a sua volta essere disconosciuta, finché c’è. E dunque il problema, per gli italiani che votano Berlusconi e forse anche per chi lo invita sul Colle, esiste.
In altro modo, però, è lo stesso Cavaliere a non affrontare davvero il nodo. Non perché non lo abbia posto finora con forza: c’è chi, anche nel suo schieramento, ritiene anzi che gli errori compiuti sin qui, in particolare nell’ultima vicenda del Quirinale, siano dipesi proprio dalla volontà del Cavaliere di ottenere, in cambio della disponibilità dimostrata, quella benedetta agibilità politica che insegue fin dal giorno in cui è decaduto dal Senato. E tuttavia anche Berlusconi affronta in fondo il problema negandolo, perché si rifiuta da sempre di affrontare seriamente il nodo vero: la nuova leadership del centrodestra. Da sempre: cioè almeno dal giorno della caduta del suo ultimo governo, nel 2011. È difatti da quel giorno, quando ancora Renzi non occupava tutta la scena, che il centrodestra si dibatte con divisioni e lacerazioni insuperabili. Tutti i pezzi che il Popolo della Libertà prima, Forza Italia poi, han perso o han visto rivoltarsi contro – da Fini ad Alfano a Fitto – non hanno fatto che porre quest’unico tema: quello della leadership, della successione, del ricambio (chiamato anche, pudicamente, democrazia interna).
Berlusconi non ne vuole sapere: non è probabilmente neppure in condizione di immaginare la cosa. Così il settennato che si apre oggi, col giuramento di Sergio Mattarella, rischia di proporre il seguente paradosso: che il primo, aspro scontro politico, potenzialmente in grado di incidere sugli equilibri della maggioranza come dell’opposizione, e di produrre forti tensioni in quasi tutti i partiti (ad eccezione di quelli anti-sistema, cioè dei grillini e forse della Lega, che saranno perciò ben contenti di provare a trarne lucro) riguarderà il futuro politico di un uomo, il cui destino è in realtà già segnato da quasi un lustro. Parte della spregiudicatezza che ha dimostrato Renzi deriva dall’averlo compreso prima di tutti. Vedremo se lo ha allo stesso modo inteso anche il nuovo Capo dello Stato. Che voglia egli partire dalle speranze e dai bisogni dei concittadini lo lascia ben sperare, perché affrontare speranze e bisogni degli italiani con serietà, sobrietà e determinazione significa anche sgombrare il campo dalle ostruzioni che la politica in questi anni ha lasciato crescere sul campo ben oltre il dovuto. Sergio Mattarella ha il profilo giusto per aiutare il passaggio ad un’altra stagione della vita della Repubblica.
(Il Mattino, 3 febbraio 2015)