Sanremo è Sanremo, ma questa volta sul palco sono saliti pure, se non sbaglio, un francese, un tedesco e un italiano che vanno nel deserto. Oppure volano su un aereo. O si trovano in mezzo a un lago e non sanno come fare. Le barzellette di una volta – ma in rete potete ritrovarle tutte – cominciavano così: il francese sempre guascone, il tedesco sempre rigoroso, l’italiano sempre furbo che fregava entrambi. E l’altra sera che cosa si è avuta, con l’esibizione di Alessandro Siani, se non una riproposizione alquanto sciatta di questo genere di comicità più o meno facile, più o meno greve, più o meno stereotipata? Poi magari fa ridere e fa pure un boom di ascolti, come il direttore di Rai Uno, Giancarlo Leone, non ha mancato orgogliosamente di sottolineare, ma di questo si tratta: meglio dirlo chiaro. Le battute di Siani si situano tutte o quasi su questo registro. Sono pòrte con la simpatia che il capello lungo lucido, la barba mal rasata e il sorriso accattivante possono assicurare all’attore napoletano, ma non per questo ascendono ai vertici della comicità mondiale. Decisamente no. Figuriamoci dunque se ci si può meravigliare, studiata o meno che sia, dell’uscita infelice sul ragazzino ciccione che forse non entra nella poltroncina. Una caduta di stile: come se il resto avesse chissà quale stile. Ma poi: non è uno sproposito, non è esagerato, non è involontariamente, decisamente, irresistibilmente comico scrivere che la battuta «rivela un vuoto di cultura e azione nell’educazione alimentare che va colmato»? Addirittura! Se c’è un vuoto di educazione alimentare non c’è certo bisogno di Siani per rivelarlo. E, soprattutto, trarre dalla scadente prova sanremese di Siani materiali per un programma di governo rivela una mancanza di senso delle proporzioni che, questa sì, non si sa davvero come colmare (l’autore di questo seriosissimo commento è infatti nientemeno che Corrado Passera, leader della neonata formazione «Italia unica»). Il fatto è che il monologo di Siani non conteneva un’idea che è una. Non diceva nulla sull’Italia di oggi, sui suoi vizi o sui suoi difetti; non dimostrava nessuna particolare intelligenza della società o degli italiani, non sfoggiava nessuna verve speciale. Ridiamo pure dei ciccioni, allora, e dei negri e dei froci: ma perché? A che pro? Una gliela vorrebbe anche concedere, a Siani, un po’ di salutare scorrettezza, ma per mettere alla berlina chi, per denunciare che cosa? Evidentemente, nulla di più o di diverso da un tedesco ottuso e da un francese sbruffone. Per ridere oggi come quaranta anni fa: francamente, non ne vale la pena.
Così come, in verità, non valeva la pena di portare sul palco la famiglia più numerosa d’Italia per dare un colpo al cerchio e uno alla botte: siccome abbiamo l’ospite transgender, equilibriamo con un inno alla famiglia tradizionale. Solo che di tradizionale non c’è molto, in un nucleo familiare composto da papà, mamma e sedici figli. Sedici. Li avete mai visti, sedici fratelli o sorelle? No. E allora eccoveli! Col che si allestisce quel genere di spettacolo da fiera, che un tempo portava sulle scene l’uomo più alto del mondo, a fianco magari della donna barbuta. E siccome la donna barbuta a Sanremo c’è davvero, perché non invitare – devono essersi detti gli autori – anche un altro portentoso fenomeno, il signor Anania, sua moglie e tutta la sua numerosissima prole? Persino il Papa ha detto di recente di andarci piano, a far figli. Ma niente: i signori Anania – o più precisamente la Provvidenza, ripetutamente chiamata in causa – non ne hanno voluto sapere, e uno dopo l’altro sono arrivati a sedici.
Ora, ce n’era davvero bisogno? Quale discorso razionale sulla famiglia si può fare, partendo da qui, dal record? Oppure si pensa che i cattolici siano gli ultimi rimasti a far figli, che Dio li benedica? Ma di nuovo: a che serve una caricatura del genere (della famiglia, e del cattolicesimo)? Cosa dimostra? Forse che se vogliamo siamo pronti per una nuova battaglia del grano, o per raggiungere quota 90? Ovviamente i signori Anania non hanno colpa alcuna (Siani forse sì: di lesa comicità napoletana, ma questa è un’altra storia). Ed è vero pure che l’intrattenimento per famiglie non deve necessariamente rispettare preoccupazioni sociologiche o contenere inviti alla più severa riflessione filosofica. Ma domando: si perdono molti punti di share se si aggiorna il repertorio delle barzellette? E una famiglia ordinaria: siamo autorizzati a pensare che esista ancora?
(Il Mattino, 12 febbraio 2015)