Il principio enunciato dal governo nella definizione della nuova scuola italiana è perentorio: non c’è vera autonomia senza responsabilità. E non c’è vera responsabilità senza valutazione. Per questo, la valutazione si appresta ad entrare anche nella scuola. Una rivoluzione, almeno nelle intenzioni. Siccome però di intenzioni è lastricata la strada dell’inferno, è bene guardare con attenzione cosa sta accadendo in queste ore, e che forme sta prendendo il progetto di riforma della scuola. La filosofia di fondo è che le risorse destinate agli scatti di anzianità debbano essere allocate «secondo criteri di premialità e di valorizzazione delle competenze». Questa filosofia è in parte attenuata nello schema attorno al quale si sta lavorando, essendo previsto un 30-40% di risorse destinate comunque alla progressione della carriera docente in base all’anzianità, mentre il 60-70 % sarà distribuito in base al merito. Non è poco, anzi è tanto. O almeno: è abbastanza, per produrre un mutamento profondo di abitudini, mentalità, comportamenti. Sia nei rapporti del territorio con la scuola, che fra gli stessi docenti. Governare con giudizio questa fase di cambiamento sarà indispensabile.
La valutazione del merito sarà affidata ad una Commissione composta da quattro membri: il dirigente scolastico e tre docenti, dei quali due eletti dal consiglio dei docenti, e uno appartenente invece allo staff della dirigenza. Rispetto alla proposta iniziale, c’è sicuramente un miglior punto di equilibrio tra la componente elettiva e quella non elettiva (formata dal dirigente e da un docente di sua nomina). Ma rimane affermata un’esigenza, quella di affidare anzitutto al dirigente il compito di migliorare il lavoro all’interno della scuola usando una leva mai finora azionata: quella del merito.
La valutazione, su base triennale, sarà espressa in crediti didattici acquisiti in base al successo formativo degli studenti, al complesso delle attività docenti, ai giudizi resi sui docenti da famiglie e studenti. È, forse, l’aspetto di più complessa definizione, che sarà demandato a un decreto attuativo successivo.
Infine, rimane ancora da stabilire se fissare o meno soglie nella assegnazione da parte del singolo istituto scolastico della quota premiale. Non è un particolare irrilevante: senza introdurre tetti, rimarrebbe alla Commissione la possibilità di procedere a una distribuzione a pioggia, che di fatto vanificherebbe il senso dell’intera procedura di valutazione. Potrebbe accadere? Potrebbe accadere. È chiaro che in un contesto come quello scolastico, in cui le dinamiche competitive e anti-egualitarie innescate da premi e incentivi, rappresentano una novità quasi assoluta, le resistenze al cambiamento sono forti, e forti dunque le spinte a svuotare nei fatti l’impatto delle nuova normativa.
Per il governo è perciò importante far passare il principio; ma per la scuola sono altrettanto importanti due cose: che i principi non restino sulla carta; e che non producano effetti contro-finali, che non si vada cioè in direzione opposta a quella auspicata.
Potrebbe accadere? Potrebbe accadere anche questo. Anzitutto perché una riforma vera della scuola non si fa senza risorse aggiuntive. Il piano di immissione in ruolo dei precari e gli interventi di edilizia scolastica dovrebbero dimostrare i propositi seri del governo. È bene sapere però da dove si parte, cioè da scuole che invitano gli studenti a portare da casa le risme di carta per le fotocopiatrici. Come saranno valutati i risultati dei docenti della scuola che ha la carta rispetto a quelli della scuola che la carta non ce l’ha?
C’è poi un altro aspetto su cui sarà bene che i riformatori mettano un supplemento di attenzione. All’interno del corpo docente di un istituto, di una sezione, di una classe, è bene che continuino a vigere anche dinamiche di tipo cooperativo, non solo competitivo. Una valutazione che tenesse conto del carattere non esclusivamente individuale della funzione docente e della formazione sarebbe sicuramente più consona all’ambiente scolastico nel quale la si vuole calare.
Ma resta che al termine di questa rivoluzione, se avverrà, non avremo scuole di serie A e scuole di serie B: quelle, infatti, le abbiamo già. La vera differenza è invece tra un sistema che cristallizza le differenze (magari fingendo che non vi siano, per non doversene preoccupare) e un sistema che provi invece non dico a rimuoverle, ma almeno a smuoverle un po’.
(Il Mattino, 24 febbraio 2015)