La pentola a pressione

Acquisizione a schermo intero 26022015 180238.bmpOra che le primarie non sono più rinviabili – ed è una notizia, perché solo ora la data del primo marzo ha acquistato il carattere della definitività – il partito democratico scoppia. Letteralmente. L’eurodeputato Massimo Paolucci e il deputato Guglielmo Vaccaro, due dei maggiorenti del Pd campano che hanno provato in ogni modo a scongiurare il voto di domenica, abbandonano il partito. Il primo esplicitamente, il secondo lasciando intendere che potrebbe addirittura votare Caldoro, pur di non schierarsi con uno dei due candidati maggiormente accreditati alla vittoria finale, Cozzolino o De Luca. Ma chi voterebbe il centrodestra è complicato immaginare che resti invece nel centrosinistra.

Quello che già era evidente nelle settimane e nei mesi scorsi, e che tuttavia rimaneva nascosto dietro il paravento dei continui slittamenti della competizione elettorale, diviene dunque di dominio pubblico: il Pd campano non è un partito, ma un pentolone in cui ribolliscono storie, uomini e interessi – e insieme rancori, rivalità e inimicizie – che non possono essere cucinati insieme. O almeno: né gli organismi dirigenti locali  (che hanno grandi responsabilità nella gestione di tutta questa fase) né i candidati maggiori hanno sufficiente rappresentatività perché l’europarlamentare Paolucci o il deputato Vaccaro si sentano garantiti in caso di una loro vittoria. Ai loro nomi dovremmo forse sovrapporre le relative etichette, e parlare in un caso di dalemiani (Paolucci), nell’altro di lettiani (Vaccaro), ma così avremmo solo issato qualche altro pudico paravento per una vicenda che, in realtà, non trascende affatto il suolo campano.

Ora, è chiaro a tutti che non si tratta di un confronto anche duro di linee politiche, di divergenze sulle scelte programmatiche, o di incoercibili convinzioni ideologiche. E neppure si tratta dell’ultima linea di divisione che si è formata nel Pd: il vecchio contro il nuovo, i rottamatori contro i conservatori. Né Paolucci né Vaccaro sono infatti uomini politici di primo pelo. Né Paolucci né Vaccaro sono venuti su con l’ultima leva generazionale, quella dei Renzi boys&girls. Né Paolucci né Vaccaro sono dei martiri ingenui, trovatisi improvvisamente nella fossa dei leoni. Nelle loro parole, peraltro, non c’è un’altra idea di regione o un’altra qualità di meridionalismo: c’è puramente e semplicemente, con una franchezza persino brutale, disistima profonda per De Luca e Cozzolino, e sfiducia altrettanto profonda nella capacità del Pd di assicurare alla competizione elettorale un corso regolare. Ma in questo modo è come se ai piani alti della politica non si trovasse per loro più nessuno, e non rimanesse che spingere tutto e tutti nello scantinato buio delle questioni personali e delle lotte di potere. E quando un deputato di esperienza come Vaccaro scrive che l’unico modo di salvare le primarie era evitare di tenerle – che è come dire: commissariate tutto – o che le casse della Regione Campania non sono al sicuro con De Luca o Cozzolino, significa che la prima condizione della comune militanza politica, cioè la fiducia, è venuta completamente meno.

Restano da fare ancora due considerazioni. La prima: oggi è giovedì. Alle primarie mancano cioè quattro giorni: non è un po’ tardi per scoprirsi nel cuore un così immacolato candore? Non somiglia troppo, la denuncia di Paolucci e Vaccaro, a quello che ti vuole bucare il pallone, perché non vuol perdere la partita? La seconda: oggi è giovedì. E sì: alle primarie mancano quattro giorni e i democratici si giocano davvero una grossa fetta della loro credibilità. Solo attraverso un ordinato, ordinatissimo svolgimento della competizione il centrosinistra può parare il colpo. Circolano in queste ore foto, voci, indiscrezioni, che danno il centrodestra pronto a invadere il campo del centrosinistra determinando l’esito delle primarie. Ora, un conto è che gli elettori moderati entrino nei seggi, tutt’altro sono gli accordi sottobanco coi capibastone locali dello schieramento opposto. Ma siamo realisti: le primarie del Pd non sono regolamentate per legge. E sono aperte, cioè può votare praticamente chiunque. In simili condizioni, pesano sicuramente i comportamenti e i costumi politici dei candidati. Ma conta anche la forza e la salute complessiva di un partito che, se tale appunto fosse, non temerebbe inquinamenti, perché avrebbe le proprie risorse – organizzative, di militanza, di idee – per respingere patti scellerati. Di quante di simili risorse dispone oggi il Pd? Non è un giudizio che possiamo dare prima: lo si darà dopo il voto, e alla luce del sole.

(Il Mattino, 26 febbraio 2015)

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