Vincenzo De Luca può festeggiare: le primarie alle quali secondo gli organismi dirigenti del Pd non era opportuno che partecipasse sono state vinte dal sindaco di Salerno. Nonostante la condanna e nonostante il partito. A conti fatti, i due «nonostante» si sono volti in altrettanti punti a favore di De Luca, non contro. Per il Pd c’è di che riflettere. E forse anche per il Paese intero, se l’argomento usato da De Luca in campagna elettorale è riuscito convincente: quella condanna, ha detto, è una medaglia sul petto. Agli occhi dell’elettorato, conta evidentemente più la prova amministrativa di un abuso d’ufficio.
E ha vinto, De Luca, nonostante pure Saviano fosse intervenuto il giorno prima del voto per rovinare la festa: a lui, a Cozzolino e a tutti gli elettori delle primarie di centrosinistra. Nel giorno tradizionalmente riservato al silenzio e alla riflessione pre-elettorale, Saviano ha detto che in Campania non bisognava andare a votare. Ora, Roberto Saviano sa che con le sue parole, con i suoi appelli, si fanno i titoli di apertura dei giornali. Non c’è testata online che non le abbia riportate e rilanciate. Il più clamoroso inquinamento del processo democratico, a questo giro, è stato dunque il suo. Ci si può girare attorno quanto si vuole – i brogli dell’altra volta, il voto di scambio, il cosentinismo, l’impresentabilità di un condannato – ma Roberto Saviano, con tono sofferto, con aria grave, con parole pensose, ha detto a sei milioni di campani che la democrazia, gli dispiace, ma non fa per loro. Di più: ha provato a mettere al di sopra del voto, che siamo abituati a considerare l’istanza più alta e inviolabile, un’altra istanza, assolutamente monocratica: la sua. E con indiscussa autorità morale (indiscussa perché a discuterla si passa automaticamente per farabutti) ha giudicato – prima ancora che le primarie si svolgessero, che si costituissero i seggi, che si aprissero le urne, che si spogliassero le schede – che il voto di ieri non è un voto democratico, non può essere un voto regolare, non può passare per un voto sincero. È una «scorciatoia». Ha detto proprio così: il voto è una scorciatoia. Chi ha votato ha dunque legittimato un sistema che il più onesto scrittore vivente ritiene evidentemente marcio, indecente e irriformabile. Poiché la sua opinione sui dirigenti di partito che hanno affidato a questa sistema la scelta del candidato governatore non può essere molto diversa, e poiché non è diversa neppure l’opinione che Saviano ha del centrodestra, l’unica maniera di fare le cose pulite sarebbe stata quella di far scegliere direttamente a lui – a lui Roberto Saviano – il governatore della regione. Nessuno avrebbe avuto dubbi: avremmo avuto finalmente a Palazzo Santa Lucia un irreprensibile cavaliere della morale, senza macchia e senza paura, ma avremmo avuto anche la sospensione della democrazia per tutto il tempo che Saviano medesimo avesse ritenuto necessario.
Invece si è votato, con un’affluenza non eccezionale, ma buona: intorno ai centocinquantamila votanti. E il voto – assicurato, non dimentichiamolo, su base volontaria da centinaia e centinaia di militanti – è filato via liscio. È il primo, importante risultato, il primo motivo di soddisfazione per il centrosinistra dopo mille tribolazioni, mille tentennamenti, rinvii e ritardi. Da questo momento, il centrosinistra è pronto ad affrontare la partita con Caldoro e il centrodestra, avendo sanzionato col suffragio popolare la scelta dello sfidante. Non è poco, e non era scontato. Come sempre accade dopo un voto sofferto, il primo problema della coalizione è trovare l’unità intorno al nome del vincitore, ma questa volta è possibile che sarà meno difficile di altre volte, visto che le principali tensioni, interne ed esterne al Pd, si sono scaricate già durante i mesi e le settimane dell’imbarazzata campagna elettorale. Se c’è ancora imbarazzo (visto che, allo stato, la legge Severino non consente a De Luca di entrare in carica, qualora vincesse le elezioni regionali) è bene che il Pd pensi subito, in un modo o nell’altro, a superarlo: il vincitore di ieri, in ogni caso, non ne nutre neanche un po’.
Quanto all’opinione pubblica – che, non dimentichiamo neanche questo, conta meno, non più del voto –, essa si è mostrata sin qui parecchio prevenuta. Sicuramente per il timore di brogli, ma non solo. L’altro giudizio, o pregiudizio, che ha pesato sulla competizione ha riguardato lo spartiacque vecchio/nuovo con il quale si è abituati a valutare forse con troppa sufficienza le proposte politiche in campo. Il fatto è che De Luca (come del resto Cozzolino), con trent’anni di vita politica alle spalle, tutto può rappresentare meno che il nuovo. Di qui un eccesso di sfiducia che, a conti fatti, ha sembrato riguardare più un sottile strato di cosiddetti «opinion leader» che la maggior parte degli elettori di centrosinistra. Ai quali non è affatto parso inutile scegliere fra l’esperienza amministrativa del sindaco di Salerno De Luca, e l’esperienza di governo di Andrea Cozzolino, prima assessore con Bassolino poi europarlamentare. E hanno scelto senza incertezze De Luca: per la sua storia di sindaco, ma più ancora per il piglio con cui interpreta il ruolo, per il carattere pronunciato di una leadership che non sembra ancora destinata a tramontare. Nonostante l’età, la condanna, la decadenza, l’avversione di Roma e pure, da ultimo, quella di Roberto Saviano. Ma siamo realisti: c’è qualcuno, nel centrosinistra campano, che poteva offrire di più in termini di personalità e di consenso? Che poi questo risultato basti a vincere anche la sfida di maggio, questo ovviamente è ancora da dimostrare, ma il primo passo per la sua personale rivincita contro Caldoro De Luca lo ha già compiuto.
(Il Mattino, 2 marzo 2015)