Dalle elezioni francesi di ieri nei dipartimenti (paragonabili alle nostre province) viene un risultato chiaro: vince la destra repubblicana di Nicolas Sarkozy, l’ex Presidente della Repubblica. In coalizione con i centristi dell’UDI, l’Ump dovrebbe arrivare, stando agli exit poll, ben sopra il 30%. Il Front National di Marine Le Pen, invece, non sfonda. Dovrebbe infatti confermare le percentuali delle elezioni europee dello scorso maggio, che furono giustamente salutate come un incredibile exploit, ma questa volta l’obiettivo era divenire anche sul terreno amministrativo il primo partito di Francia, e questo obiettivo è stato mancato. Il premier socialista Manuel Valls ha così potuto salutare con soddisfazione lo scampato pericolo. Magra consolazione, visto il calo di consensi del suo partito, che rischia comunque di finire dietro al Front National, confermandosi così malinconicamente il terzo partito di Francia. Anche se insomma Valls non dovrà lasciare l’Hôtel de Matignon, resta il fatto che la Francia si è spostata robustamente a destra.
Il voto era comunque atteso per un insieme di motivi. In primo luogo, si votava per la prima volta in tutti i cantoni di Francia, dopo una profonda riorganizzazione territoriale che ne aveva dimezzato il numero, e dopo l’introduzione di un inedito voto di coppia, ad un uomo e ad una donna insieme. In secondo luogo, era da valutare la percentuale dei votanti, per capire se il trend astensionista si sarebbe confermato nelle urne. Non è andata così: c’è stata anzi un’inversione di tendenza, complici anche gli eventi drammatici degli scorsi mesi, con la strage di Charlie Hebdo. In terzo luogo, c’era attesa per i cambiamenti nella geografia locale del potere, ed è probabile, visti i risultati, che questo cambiamento ci sarà. Il sistema elettorale francese prevede un secondo turno di ballottaggio, ma fin d’ora si può ritenere che queste elezioni dipartimentali consegnano la maggioranza dei cantoni al centrodestra.
C’è poi l’ultimo e più importante motivo, il significato politico generale dovuto anzitutto al fatto che la consultazione coinvolgeva tutto l’elettorato francese. Temendo una nuova débacle, i socialisti hanno puntato su una drammatizzazione del voto, contro la probabile avanzata lepenista e i pericoli portati ai fondamenti della Francia repubblicana. Di fatto, questo ragionamento ha probabilmente sostenuto la partecipazione al voto, ma ha favorito soprattutto Nicolas Sarkozy. Il quale è riuscito a presentare un centrodestra dal profilo compatto, e soprattutto ha potuto mettere un freno alla porosità fra elettorato della destra tradizionale e elettorato frontista.
Nei primi commenti ad urne appena aperte, Sarkozy, forte del voto che consegna alla sua formazione il posto di primo partito di Francia, ha interpretato l’esito elettorale come espressione della «profonda aspirazione dei francesi a un cambiamento chiaro», ma, foss’anche così, è difficile escludere dalla richiesta di cambiamento quel quarto circa dell’elettorato che dà i suoi suffragi a Marine Le Pen. È indubbio peraltro che le cancellerie europee guardavano anzitutto al risultato del Front National, e che in base ad esso sono pronti a misurare non già l’ansia di cambiamento, ma il grado di stabilità o instabilità del quadro politico francese. Marine Le Pen chiede del resto i voti in base allo slogan: «Ni droite, ni gauche, Français!», col quale non si propone solo di liberare la destra nazionalista francese di vecchie scorie, ma anche di imporre una diversa dialettica al voto, lungo lo spartiacque fra nazione e nemici della nazione (che si tratti degli stranieri o di Bruxelles); Sarkozy ha provato invece, riuscendovi, a ripristinare l’asse destra/sinistra per delegittimare il voto frontista, proprio come, dal canto loro, i socialisti francesi hanno rispolverato il vecchio armamentario antifascista, con lo stesso obiettivo di tenere la Le Pen ai margini del circuito politico-istituzionale.
Si deve allora pensare, vista la vittoria del «vecchio» Sarkozy, che sia già in corso una sorta di riflusso, dopo la travolgente avanzata lepenista dello scorso anno? Difficile sostenerlo, dato il terreno comunque guadagnato dalla Le Pen, che porta l’estrema destra francese dove non era mai giunta, nel disegno amministrativo della Francia. Avere un certo numero Presidenti di dipartimento del Front National sarebbe comunque un risultato storico. Né si può dire che la Francia, e l’Europa intera, abbiano già superato le difficoltà in cui si dibattono, fra incerte prospettive economiche, scarsa legittimazione delle élite, affanni europei, minacce alla sicurezza, ondate migratorie. Sono ancora là tutte le ragioni che possono motivare il voto frontista. Certo, l’alternativa moderata di Sarkozy si è rafforzata, complice anche l’argomento usato abilmente (e forte, in Francia, soprattutto sul piano locale) che un voto alla Le Pen al primo turno è un voto ai socialisti al secondo turno. Ma c’è ancora, a fianco di ceti urbani popolari delusi dai socialisti e radicalizzatisi, una classe media impoverita e arrabbiata disponibile a lasciarsi sedurre dalla Le Pen. Il voto probabilmente rimanda questa partita decisiva, ma non la chiude affatto, né in Francia né altrove in Europa.
(Il Mattino, 23 marzo 2015)