Caldoro è una persona seria e De Luca è un buon amministratore: chi la mette così non dà certo l’impressione di stare da una parte sola, soltanto con l’uno o soltanto con l’altro. Eppure a metterla così è stato il premier Renzi, che non incidentalmente si trova ad essere anche il segretario del partito democratico. Cioè del partito di De Luca, non di Caldoro. Ma l’intervento di ieri è suonato quasi salomonico: «La gara è tra De Luca e Caldoro e saranno i campani a decidere». Certo: chi altri, sennò? Simili parole, però, non potrebbero mai essere pronunciate, in una campagna elettorale spesa a sostegno del proprio candidato, senza aggiungere per esempio che, d’accordo, son bravi tutti e due e mi auguro proprio che vinca il migliore, ma il migliore, si sappia, è il mio candidato. Si fa così, di solito: tutta la cavalleria e il bon ton istituzionale che si vuole ma, alla fine, la pacca sulla spalla si dà ad uno solo dei due.
E invece niente pacche: Renzi ha messo camice e guanti e ha usato una precisione quasi chirurgica nel riferirsi alla situazione campana. Del governatore in carica ha elogiato lo «spirito di collaborazione»; dell’ex sindaco di Salerno l’esperienza amministrativa della città. Una buona parola per l’uno, una buona parola per l’altro. Difficile esprimersi in maniera più pacata. E difficile anche non notare una certa terzietà in una simile presa di posizione. Dopodiché Renzi ha provato a togliere le spine con le quali il suo partito viene punzecchiato: prima la legge Severino e De Luca ineleggibile; poi le liste e i nomi degli impresentabili. E ha risposto: sul primo punto, che la norma è già stata disapplicata (per effetto dei ricorsi al Tar) a Salerno e Napoli, e dunque bisogna prenderne atto; sul secondo punto, che gli impresentabili imbarazzano anche lui, ma stanno in altre liste, non in quella del Pd. Il Pd è pulito e lui è il segretario del Pd.
Già: ma proprio perché lui è il segretario del Pd, colpisce che tenga un atteggiamento quasi notarile, come di chi deve limitarsi a stare i fatti, senza provare a imprimere loro una qualche direzione.
Lo si potrebbe chiamare un patto di non belligeranza. In verità, Renzi ha dimostrato in questo anno di governo che lui ci mette un attimo a passare dalla non belligeranza alla belligeranza aperta, ma intanto quel che a tutt’oggi si capisce è che la visita di sabato prossimo a Napoli sarà all’insegna dell’aplomb istituzionale. Dello «spirito di collaborazione»: quello elogiato in Caldoro. E così in Liguria, ad abbracciare sul palco la candidata del Pd Raffaella Paita, Renzi è andato senz’altro da segretario politico, polemizzando con forza contro gli errori della sinistra che ridanno fiato e campo a Forza Italia e al centrodestra. Sulla Campania, invece, nessun ragionamento politico analogo, e presumibilmente neanche vigorose manifestazioni elettorali e plateali abbracci, bensì piuttosto molto garbo e tanta etichetta. E forse, dall’altra parte, Caldoro ricambierà, chiedendo a Berlusconi di non oltrepassare il Garigliano, perché non serve in questa fase marcare un’appartenenza, picchettare il centrodestra, quando Renzi tende la mano in un unico abbraccio. In un unico embrassons-nous.
Forse è troppo presumere. La competizione si avvicina (e pure il terzo incomodo, i grillini di Valeria Ciarambino) e più si avvicina meno si potrà andare per il sottile. E però l’impressione che Renzi abbia deciso di smorzare parecchio i toni ci sta tutta. In fondo, a sud il partito democratico somiglia assai poco al premier. La si chiami rottamazione, la si chiami riforma dei partiti: questa roba di qui non è ancora passata. E anche l’investimento politico, la ricerca di parole venate di accenti meridionalisti, una scommessa ideale o una nuova leva di dirigenti: non si può dire che siano cose che tolgano il sonno al Presidente del Consiglio.
Quel che insomma altrove sembra un discutibile progetto politico – un bel partito della nazione, centrista e centrale, che però non collima del tutto con l’Italicum, fatto piuttosto per rafforzare il bipolarismo – a livello campano, vuoi per convenienza vuoi invece per necessità, non è ancora un progetto vero e proprio, e però appare un po’ meno discutibile. Un po’ più realizzabile, O almeno: a forza di non discuterne e di non parlarne, a forza di smussare e di stare a guardare, finisce che qualcosa del genere prende corpo davvero. E se non sarà nelle urne, magari si materializzerà in quel che verrà dopo.
(Il Mattino, 13 maggio 2015)