Archivi del giorno: giugno 2, 2015

Napoli-Bari, un’asse per il Sud

immagine 2 giugno.1Come la lupa che sbarra la strada al fiorentino Dante, nel primo canto dell’Inferno, così Vincenzo De Luca e Michele Emiliano si sono messi di traverso, e dopo il pasto di domenica sembrano avere più fame di prima. Difficile cioè che si sentano sazi per il successo elettorale e che al fiorentino Renzi non chiedano nulla. Nei primo commenti dopo il voto, De Luca ha avuto parole di ringraziamento per il segretario del suo partito, ed Emiliano ha generosamente ascritto al Pd anche il successo delle liste collegate, escludendo di avere altro in mente al di fuori della sua Puglia. Entrambi, però, non hanno esitato a toccare subito il punto dolente, che riguarda il rapporto del Mezzogiorno con il governo nazionale, e la necessità di un «ragionamento molto fermo» – così lo ha chiamato De Luca – per contrastare la desertificazione industriale, chiedere nuovi investimenti, politiche mirate. Fin qui, sembrano sottintendere i due, Renzi per il Mezzogiorno è valso quanto Monti, o Letta. Ora entrambi chiedono un cambio di passo.

I due ex-sindaci hanno anche mostrato un’attenzione complessiva per il quadro politico uscito dalle urne, che è probabilmente indice di una preoccupazione non legata soltanto alla nuova prova amministrativa che entrambi devono affrontare. Significativo è, in particolare, il cenno rivolto al Movimento Cinque Stelle, che entra per la prima volta in regione. Ebbene, se i Cinque Stelle raccolgono consensi e ricevono fiducia in virtù di un rapporto diretto con i cittadini, contro i privilegi del ceto politico, Emiliano ha deciso di fare di più: ha dato in conferenza stampa direttamente il suo numero di telefono personale. Chiunque può comporlo e parlare al nuovo governatore. Quanto a De Luca, il nodo della legge Severino non favorisce certo il dialogo con i grillini, che anzi hanno già fatto partire il primo esposto contro il suo insediamento. Però De Luca è l’unico, in Campania, in grado di contendere ai Cinquestelle l’elettorato che rifiuta e respinge la «politica politicante»: lui, infatti, pretende di fare lo stesso, ed è proprio su questo terreno che proverà a sfidare l’opposizione.

L’uno e l’altro, insomma, forti anche della popolarità già raggiunta come sindaci delle loro città, promettono ora di giocare a tutto campo. Di dedicarsi anima e corpo all’istituzione regionale, ma insieme anche di rilanciare la questione meridionale sul piano nazionale. Hanno i numeri per farlo, perché il successo è più loro che di Renzi o del Pd, e hanno pure quel tratto contundente che forse, dopo vent’anni di trazione nordista della seconda Repubblica, è necessario per scrollarsi di dosso un bel po’ di pregiudizi e farsi ascoltare nei palazzi romani.

C’è poi un non piccolo riflesso di questa nuova geografia politica tutto interno al partito democratico. Si possono mettere in fila, uno dopo l’altro, i fattori che verranno a sommarsi nelle prossime settimane, costringendo Renzi a qualche riflessione in più. Non si tratta, per il premier, di una sconfitta: è vero che se si guarda al numero dei votanti il Pd è andato dietro non solo le europee, ma anche dietro le regionali del 2010, ma è una comparazione che non tiene conto del dato dell’affluenza. I voti sono cioè calati per tutti, in termini assoluti: perfino per i grillini, se raffrontati al dato delle politiche. Per giunta, alle europee Renzi era in piena luna di miele, mentre ormai governa da un anno, ed è noto che le elezioni cosiddette di mid-term sono sempre una prova difficile per il governo in carica (vedasi Hollande in Francia o Rajoy in Spagna). Altro è il dato con cui Renzi deve misurarsi: è, anzitutto, il forte carisma personale di cui godono sia De Luca che Emiliano; è il loro radicamento territoriale altrettanto forte; è insomma, la possibilità di far pesare un successo elettorale conseguito con le sole proprie forze, e non al traino del governo centrale. L’uno e l’altro, per di più, non provengono dalle fila del renzismo, non sono dentro alcun cerchio magico, e sono stati candidati fra mugugni e perplessità, per non dire di esplicite resistenze. In campagna elettorale, Renzi ha addirittura evitato di incontrare Emiliano, mentre con De Luca ha trascorso mezza giornata, poco meno, senza fare campagna elettorale ma concedendo qualche foto-opportunity: non molto di più. Infine, è vero che il Pd governa ormai quasi tutte le regioni italiane e l’intero Mezzogiorno, ma al Sud è difficile chiamarlo il partito di Renzi. Si tratta piuttosto della somma di molti potentati locali. Ora che però sono  giunti alla guida delle rispettive regioni, De Luca ed Emiliano hanno la possibilità di costruire qualcosa di più di un tessuto di rivendicazioni localistiche: una proposta politica, un progetto complessivo di sviluppo, forse persino una nuova classe dirigente. Se è così, per venirne a capo anche a Renzi, non solo a Dante nell’Inferno, converrà di qui innanzi tenere altro viaggio.

(Il Mattino, 2 giugno 2015)

Premiata la leadership del sindaco

immagine 1 giugnoSe i risultati definitivi confermeranno il dato emerso dalle prime proiezioni ufficiali, il prossimo presidente della regione Campania sarà Vincenzo De Luca. Al secondo assalto, l’ex sindaco di Salerno ce l’ha fatta. De Luca sarà però anche il primo presidente di regione a cadere nella tagliola della legge Severino, e il primo a fare ricorso. In attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, dovrà pensarci il giudice ordinario a sospendere gli effetti della legge, reinsediandolo. Se De Luca farà a tempo a nominare un vice-presidente, prima di essere sospeso e poi eventualmente  re-insediato, non è dato saperlo, ma una cosa già sappiamo: che di un simile groviglio giuridico-amministrativo il voto ha senz’altro tenuto conto, visto che se ne è parlato in lungo e in largo. De Luca ha vinto nonostante tutto questo: nonostante la condanna per abuso d’ufficio in primo grado; nonostante la lista dell’Antimafia sugli impresentabili, in cui è stato inopinatamente incluso per un’altra, vecchia pendenza; nonostante – si può persino aggiungere – la riuscitissima imitazione di Crozza. E in verità la lista dei nonostante si può anche allungare: De Luca ha vinto nonostante le ostilità dichiarate di larga parte del partito democratico, e le perplessità appena sottaciute di un’altra non piccola parte. Ha vinto nonostante i tentativi, proseguiti per mesi, di far saltare le primarie, e ha vinto nonostante non sia napoletano (e in passato abbia pigiato un po’ troppo su questo tasto, in polemica con le istituzioni regionali); ha vinto, infine, nonostante qualche confronto televisivo infelice, nonostante le dichiarazioni di Roberto Saviano su Gomorra nelle sue liste, nonostante il dito rotto e steccato per la «seccia» di qualcuno (questa, almeno, è la sua versione del piccolo incidente occorsogli).

Una vittoria contro tutti, insomma. Non è la prima volta. Gli è capitato già, nel suo lungo e incontrastato dominio nella città di Salerno, di vincere avendo contro contemporaneamente il centrosinistra e il centrodestra. Questa volta Il Pd, più nolente che volente, era dalla sua parte, e contro aveva da un lato l’uscente Caldoro, dall’altro i grillini, che sull’impresentabilità di De Luca puntavano molto, e non per caso le proiezioni assegnano loro un risultato comunque lusinghiero. Ma De Luca ce l’ha fatta lo stesso. Ce l’ha fatta press’a poco da solo: negli ultimi giorni Renzi è sì venuto a Salerno, ma per non più di qualche ora. E quasi di corsa. A giudicare poi dai voti di lista, non è stato il Pd a spingere De Luca alla vittoria, ma De Luca a portare il Pd alla vittoria. Riguardato nel suo significato complessivo, con la Liguria e l’Umbria in bilico, il voto di ieri permette di dire che Renzi aveva bisogno di De Luca molto più di quanto De Luca avesse bisogno di Renzi.

Gli elettori campani non hanno così avuto dubbi: ai passi prudenti di Caldoro hanno preferito il piglio decisionista dello «sceriffo» di Salerno. Giudizioso l’uno, irruente l’altro. Ebbene, i campani hanno preferito l’irruenza, e una proposta che si può forse riassumere così: poca politica, molta amministrazione e molte, molte opere. Se vi è un tratto che fa la popolarità di Vincenzo De Luca è la sua capacità, in una vita passata attraverso esperienze politiche e amministrative ininterrotte, di mantenere comunque una distanza dalla «politica politicante»: così la chiama sprezzantemente De Luca. Altri l’hanno chiamata «teatrino della politica», altri ancora «casta», oppure «il Palazzo». Ma sono tutti nomi che convergono in un unico significato, di critica e finanche di estraneità nei confronti di un ceto dirigente stantìo, percepito come inconcludente oppure come oscenamente privilegiato, in ogni caso separato dal resto della società. A quel ceto De Luca dichiara, in parole ed opere, di non appartenere. La profonda sburocratizzazione, l’uscita dalla palude burocratica che ha promesso agli elettori ed è stato il vero refrain della sua campagna elettorale, non è che una variazione sul tema. E, in fondo, tutte le esperienze politiche vincenti, da vent’anni a questa parte, mantengono questo comune denominatore. Vale anche quando – ed è il caso di De Luca – a questo segno polemico, a questo basso continuo della politica italiana (che si riflette nell’affluenza in calo costante, da una consultazione all’altra), si aggiungono risultati amministrativi, nella sua Salerno, giudicati in maniera largamente positiva dalla maggior parte dell’opinione pubblica. Le polemiche della vigilia non hanno potuto oscurare questo dato.

Che è il dato di un ceto dirigente meridionale giunto ora, con De Luca – ma anche in Puglia, con Emiliano, alla ribalta nazionale. Se siano antichi vizi notabilari o nuove virtù amministrative si vedrà nei prossimi mesi ed anni. Ma dopo il voto è almeno chiaro di quale stoffa umana e politica è fatto il Pd meridionale: quella di uomini molto poco inclini alle mediazioni partitiche, molto esposti sul fronte dell’attività di governo, dall’inconfondibile profilo personale. Nei radar del governo finora il Mezzogiorno è stato avvistato molto poco: forse due pesi massimi come i due ex sindaci riusciranno a farsi sentire anche a Roma.

(Il Mattino, 1 giugno 2015)