Archivi del giorno: settembre 19, 2015

La carta che manca ai democrat

102296644-73096575.1910x1000Se non è un’impasse, poco ci manca. Il Pd non ha un candidato sindaco per Napoli, e non sa quando l’avrà. Ma in politica il tempo non è una variabile indipendente. E più tempo passa, più si restringono le possibilità che il Pd riesca a pescare la carta vincente. Anche perché i democratici non hanno a disposizione un mazzo intero di carte, ma tre carte soltanto.

La prima carta è un nome della società civile: un nome autorevole, prestigioso, e fuori della mischia. In verità, questa mitologia della società civile che offrirebbe alla politica le risorse di leadership che la politica non è in grado di accumulare da sé è ultimamente un po’ in ribasso, dalle parti, almeno, del Pd. Che ha oggi la guida, a livello nazionale, di un governo tutto politico, e per la prima volta da molto tempo di un governo che, piaccia o non piaccia, non trova motivi di consenso o di dissenso nel fatto che sia formato da ministri politici invece che dai cosiddetti tecnici.

Le cose, tuttavia, stanno un po’ diversamente a Napoli. Dove si mantiene un generale senso di discredito nei confronti della classe politica, al quale ha attinto e ancora abbondantemente attinge il sindaco De Magistris. Qui l’idea – se ci si pensa: alquanto balzana – che ad assumere un ruolo politico debba essere chiamato uno che con la politica non c’entra nulla consente ancora di tener per buono lo schema del candidato della società civile. Che il più delle volte finisce in realtà con l’essere, molto più ragionevolmente, solo una figura il cui curriculum non è stato usurato da troppe esperienze consiliari, o parlamentari. Ma tant’è.

L’altra carta a disposizione del Pd è la carta che i democratici non sono finora mai riusciti a calare: la carta di un nome di partito, intorno al quale fare quadrato e da sostenere in maniera unitaria. Il partito democratico napoletano non ha, allo stato, un leader riconosciuto. L’ultimo è stato Bassolino e si sa in che modo sia stato scaricato. Dopo di lui, hanno prevalso le divisioni e le lacerazioni interne, fino all’autolesionismo: fino cioè al disastro delle primarie annullate del 2011, che tutti ricordano. Pochi ricordano invece che quando Bassolino vinse le elezioni municipali era ancora soltanto un dirigente di partito. Dietro di lui si raccolsero però tutti gli altri, e soprattutto si raccolse la città, a cui le forze di sinistra seppero offrire, in quel frangente difficilissimo, una chance politica di rinnovamento. Quella era la carta: organizzazione di partito, programma, e leader. Ma, a dir bene le cose, la capacità di leadership si dimostrò sul campo. E cioè venne dopo, e venne anche grazie al fatto che un partito intero (o quasi) ci aveva creduto, e provato.

Vi sono però le condizioni per riprodurre lo stesso schema oggi, e giocare la carta di un uomo di partito, oggi? Il partito ha organizzazione, programma, capacità di fare squadra? Se sì, allora poco importa che manchi ancora il nome di grande formato: importa invece, o importerebbe, la voglia di fare una scommessa politica. Una scommessa vera, perché si tratta per il Pd di recuperare l’emorragia di voti del 2011, in uno scenario che vede in campo non solo De Magistris, ma anche i grillini, che quattro anni fa non c’erano ancora. Per riuscirvi, bisognerebbe che il Pd ritrovasse la capacità di parlare alla città, e che fosse in grado di contendere con il centrodestra sul terreno della credibile proposta di governo, a confronto della quale l’esperienza di questi anni si potesse dimostrare in tutta la sua confusione e velleitarietà. Ma la domanda rimane: riesce il Pd a costruire una roba del genere? Più tempo passa, e più si assottiglia questa possibilità.

La terza carta, infine. La terza carta è persino ovvia: è Antonio Bassolino. Naturalmente, anche questa carta presenta qualche controindicazione: come fa il Pd a candidare Bassolino, senza ammettere che non si è ancora riavuto, da quando Bassolino è uscito di scena? Di fatto però questa è una controindicazione seria solo per il Pd, non certo per Bassolino stesso. Il quale per ora «ascolta la città», come ha detto ieri nell’intervista a questo giornale. E quel che ascolta, per ora, non sembra affatto scoraggiarlo. Perché è un fatto che pezzi importanti della società napoletana – tanto fra gli strati popolari, quanto nel mondo produttivo e delle professioni – guardano a un ritorno di Bassolino come all’unico che possa stare in campo, a sinistra, con qualche possibilità di successo. Si dice: la discesa in campo di Bassolino trasformerebbe però la campagna elettorale in una sorta di «giudizio di Dio» sul bassolinismo. Questa però tutto è meno che un’obiezione. Perché anzi vorrebbe dire che Bassolino è l’unico ancora in grado di spostare i temi della discussione pubblica, e magari anche i punti dell’agenda cittadina.

Poi ci sono altre variabili, da quelle personali (Bassolino ne avrà davvero la voglia, e la forza?) a quelle politiche generali (Renzi che fa, se ne lava le mani?). Ma le carte quelle sono: il Pd ricomincia da tre, ma ancora per poco. Più passa il tempo, infatti, e più i democratici rischiano di non ritrovarsi nulla in mano.

(Il Mattino – ed. Napoli, 19 settembre 2015)