Il disastro è finito, ma il futuro è un’incognita

37479-AMBRA-DEFLe dimissioni di Ignazio Marino mettono la parola fine ad una vicenda che sfiorava ormai i limiti del grottesco, o meglio: li superava abbondantemente. Dopo la Panda in zone a traffico limitato, i viaggi negli States nei momenti e per le ragioni meno indicate, la resa dei conti per Marino è arrivata con gli scontrini, la vera cifra derisoria di questa seconda Repubblica: inezie, a confronto di qualunque altro episodio di malaffare che sia finito in questi mesi sui giornali, ma inezie gestite nel peggiore dei modi possibili. Che si tratti comunque di un disastro politico è fuor di dubbio, e per il partito democratico sarà dura circoscriverlo nei termini di una vicenda personale, che coinvolga solo ed esclusivamente la persona del sindaco. Il risultato, in ogni caso, è diverso da quello che si immaginava anche solo poche settimane fa: ad andare al voto, nella primavera del prossimo anno, saranno le tre principali città italiane, Roma, Milano, Napoli (insieme ad altri capoluoghi minori). Il turno amministrativo si colorerà così, inevitabilmente, di un significato politico. Con una complicazione fino a non molto tempo fa imprevista: in nessuna di queste città il Pd partirà con i favori del pronostico. E in nessuna ha già un candidato in pectore. La storia non si fa con i «se», ma formularne qualcuno può servire a vedere da quali spiagge il PD si è allontanato, senza avere  alcun porto sicuro in cui approdare.

E dunque: se Giuliano Pisapia, a Milano, avesse scelto di ricandidarsi, per la Lega e Forza Italia sarebbe oggi molto più dura;se, a Napoli, il PD avesse usato questi anni di opposizione a De Magistris per costruire un progetto politico chiaro, oggi non faticherebbe così tanto a trovare un candidato, e non dovrebbe tornare a Bassolino per essere competitivo; se, infine, a Roma, Marino non avesse dato una così straordinaria prova di dilettantismo, senza riuscire a portare risultati immediatamente tangibili sul piano dell’amministrazione, forse avrebbe potuto volgere in positivo la sua conclamata distanza dalla città. E invece: Pisapia non si ricandida, a Napoli non si sa a che santo votarsi, e pure a Roma, con le precipitose dimissioni di Marino, adesso si rischia di brutto.

Difficile capire come il PD si tirerà fuori da una simile situazione: di sicuro a Renzi non basterà starsene a Palazzo Chigi per non avvertire i contraccolpi del voto di primavera. Ma, su un altro piano, è impressionante constatare la distanza che separa questa stagione da quella dei primi anni Novanta, quando i sindaci costruirono non il fronte più problematico, bensì quello più avanzato del rinnovamento della politica nazionale. Oggi si torna a parlare di Bassolino, a Roma qualcuno fa il nome di Veltroni o di Rutelli, e a Milano questo non succede solo perché dopo i fasti socialisti la città non è mai andata al centrosinistra. In breve: trascorsi vent’anni, il valore che le esperienze municipali riescono ad assumere sembra essere di tutt’altro segno. A Napoli, una democrazia confusa, mescolata a istanze di partecipazione e a velleità antagoniste a volte generose, altre volte e più spessoinconcludenti, lontane da ipotesi concrete di rilancio della città. A Roma, una democrazia incapace, impotente, imbelle, con un unico vessillo in piedi, quello morale, prima che finisse nel ridicolo pure quello; a Milano la democrazia incompiuta, che mostra una certa stanchezza di sé e delle sue stesse ambizioni, quasi che la politica non fosse più il teatro sul quale valesse la pena misurarsi. Tutte e tre le esperienze specchio delle città che in esse esprimono: a Napoli, una borghesia storicamente impreparata ad assumersi un ruolo dirigente; a Roma, un involgarimento dei costumi civili contro cui è franato miseramente l’argine che l’amministrazione capitolina aveva creduto di poter costruire; a Milano una società civile che sembra sempre più attratta da dinamiche internazionali e globali, e sempre meno preoccupata della dimensione municipale e dei suoi riflessi possibili in sede nazionale. In tutti i casi, segnali di scollamento che non possono non preoccupare, e sui quali – siamo al dunque – le risposte possibili sono due: o il grillismo come epilogo conseguente di questa stagione di libera improvvisazione e drastico azzeramento della politica,oppure il suo riscatto, la sua rivalutazione, la sua ripresa, in termini non solo di progetto, ma anche di uomini, di forze e di competenze specifiche. Con risorse che, però, bisogna confessare amaramente, nelle file dei partiti ancora non si riescono a vedere.

(Il Mattino, 9 ottobre 2015)

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