La legge di stabilità presentata dal governo Renzi, con a fianco, a far da spalla, il ministro del Tesoro Padoan, richiede una riflessione particolare, per quel che riguarda il Mezzogiorno. Lo ha spiegato bene ieri Isaia Sales su questo giornale: nelle scorse settimane e mesi, si era infatti creata un’attenzione nuova e crescente sui problemi dell’economia meridionale. La direzione nazionale del Pd aveva fatto un primo punto ad agosto, e in quella circostanza era stato annunciato per l’autunno un Masterplan, che avrebbe dovuto fornire il quadrante di controllo della politica del governo italiano per il Sud. Si è cominciato a ragionare su una serie di misure – dalla decontribuzione riservata alle imprese che operano nel Mezzogiorno, al credito di imposta, a una riduzione dell’Ires fin dal prossimo anno – che, se adottate, avrebbero sicuramente dimostrato una chiara volontà di rovesciare il mantra ripetuto insistentemente negli ultimi decenni, che cioè solo se cresce l’Italia cresce anche il Sud. No, si sarebbe trattato, si doveva trattare del contrario: di puntare con decisione alla crescita del Sud per far crescere il Paese.
Queste misure non hanno però trovato posto nella legge, e si tratta di capire perché.
Prima, però, è giusto dire che vi è, nel quadro delle misure prospettate dal governo, il sostegno a progetti specifici: si tratti però della bonifica di Bagnoli o del completamento della Salerno-Reggio Calabria o della rimozione delle ecoballe nella Terra dei Fuochi (che non sta nella legge di stabilità; è bene quindi non distrarsi troppo, nelle prossime settimane…), parliamo in ogni caso di interventi attesi, su cui si ragiona magari da anni, quando non da decenni, i quali vengono meritoriamente ripresi, avviati o sostenuti, ma che tuttavia non disegnano un nuovo indirizzo di politica meridionalistica. Vuol dire che lo scarto o la discontinuità che ci si attendeva da questa legge non si è prodotto. Nella legge di stabilità non viene formulato, e con ogni probabilità nemmeno avvicinato, l’obiettivo strategico di riduzione del divario fra il Nord e il Sud del Paese. Formularlo non significa ovviamente conseguirlo, ma vuol dire che si ha però piena contezza che di questo si tratta: non di più e non di meno. Il governo ha costruito una manovra moderatamente espansiva, con il taglio delle tasse sulla casa e alcune misure di carattere sociale, e anche il Mezzogiorno, come il resto del Paese, dovrebbe trarre vantaggio di questa moderata espansione. Ma appunto: proprio come il resto del Paese, difficile sperare di più. Questo segno più, insomma, in mezzo ai tanti segni positivi segnalati da Matteo Renzi nelle slide illustrate alla stampa, non c’era.
Ora, che cosa ci voleva per introdurvelo, cosa è mancato?
Forza politica, anzitutto, e poi robustezza amministrativa. Sicuramente, infatti, non giova al Sud l’inefficienza o l’inerzia delle Amministrazioni locali. L’ultimo esempio è di queste ore: si arriva al dunque, e succede che per ritardi progettuali, per mancanza di rendicontazione o per altro, Bruxelles non rifinanzi progetti come la linea 6 della Metropolitana di Napoli. Si comincia, non si finisce. Si aprono buchi, non li si richiude. Il peso che, nello stanziamento delle risorse, hanno i poteri locali è – com’è ovvio – inversamente proporzionale alla capacità di fare squadra. Se a Bruxelles Comune e Regione vanno, come sono andati, in ordine sparso, il risultato è quello che si è visto: i soldi se ne vanno, le opere restano a metà, il danno alla città è enorme.
Quello che succede a Bruxelles succede pure a Roma. Se nella stretta finale non c’è una voce in grado di offrire una visione d’insieme, un’idea strategica di sviluppo che tenga cuciti con un unico filo rivendicazioni e prospettive, risorse e idee, interessi e programmi, l’appostamento di bilancio finisce col dipendere da una trattativa contingente, fatta di strappi o favori, pressioni o concessioni che non discendono più da una politica condivisa.
Perché dunque, a fronte di una nuova vivacità mediatica del tema meridionalistico, è mancato un segno forte in questa direzione? Forse perché si è trattato, per l’appunto, di mera vivacità mediatica, non sostenuta da buone prove delle pubbliche amministrazioni, e neppure da un cambio di passo della classe politica meridionale. La strada per pesare di più non l’ha trovata Emiliano, nella affannosa ricerca di un posizionamento politico a colpi di polemica con Renzi, ma non l’ha trovata ancora neppure De Luca, perché non può bastare nemmeno ingraziarsi Renzi solo per prendere quel che passa il convento. Non siamo nei tempi grami del leghismo imperante, che tacitava ogni discussione, perché appunto la discussione si è aperta. Che almeno questo filo non venga, dunque, lasciato cadere: se non altro perché c’è un Masterplan che ci aspetta.
(Il Mattino, 17 ottobre 2015)