Scuola, l’occupazione assente dopo 40 anni

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Capita che la notizia sia che non c’è notizia. Non c’è notizia di agitazioni tra gli studenti; non c’è notizia di scioperi e occupazioni. E se in alcuni istituti superiori di secondo grado si concordano con i dirigenti scolastici procedure di autogestione o di cogestione, è per sperimentare nuovi modelli di didattica, favorire l’approfondimento di temi e materie non curricolari, aprirsi al territorio (come si dice). Ci si prepara, insomma, alle feste natalizie, in vista delle quali – e per allungare le quali –vengono pensate queste giornate diverse, dove trova spazio il dibattito sull’attualità, qualche sport alternativo, i nuovi linguaggi musicali (bistrattati dalle nostre scuole), e insomma un putpourri di attività le più varie, alcune interessanti ed altre meno, che tengono i ragazzi più in aula magna che in classe, più nei corridoi che sui banchi di scuola.

Ma di lotta dura: manco a parlarne. Di antagonismi e conflitti generazionali: pochi, molto pochi e, in genere, molto educati. Io stesso ho partecipato, tra gli altri, a una di queste affollate assemblee, al liceo Tasso di Roma: quasi quattro ore a discutere di Medioriente, terrorismo, sunniti e sciiti, nichilismo e crisi dei valori, interessi petroliferi e fine delle ideologie, in un’aula zeppa come un uovo e tutta attenta, tutta interessata. Forse non è una scuola rappresentativa di ogni ordine e grado, certo è che non si sentiva nessuna rabbia pronta ad esplodere, neppure quando affioravano accenti più critici, tra antiamericanismi e terzomondismi vecchi e nuovi. Tutto sin troppo liscio, insomma.

Cosa è successo, allora? Non che ci sia da avere nostalgia di epoche più barricadere, ma siccome c’è stata una riforma della scuola, viene la curiosità di domandarsi che fine abbia fatto quell’aspro fronte di opposizione che fino a poche settimane fa era vivissimamente preoccupato per lo stato della scuola pubblica, che lamentava addirittura la svendita di valori costituzionali, che denunciava  ladisumana deportazione dei docenti e paventava l’aziendalizzazione degli istituti scolastici? Come mai l’avvenire delle nostre scuole non è più in cima alle preoccupazioni di nessuno, a distanza di così poco tempo?

Intendiamoci: si può e si deve discutere ancora a lungo di ruolo e statuto della figura docente, di senso e funzione della conoscenza, di significato della formazione e dell’integrazione di nuovi saperi, di modelli organizzativi e valore dell’autonomia. A volte sembra anzi che la folata di parole sia passata sin troppo velocemente, trascurando proprio l’essenziale: cosa significhi insegnare, cosa significhi apprendere, cosa significhi valutare. Ma rimane il fatto che è passata, e che non c’è oggi nelle aule italiane una traccia consistente di quella così fiera opposizione.

Il confronto col passato può essere allora istruttivo, perché il Novecento, insieme a molte altre cose, è stato anche il secolo della politicizzazione delle nuove generazioni, dal tempo della prima guerra mondiale (che ebbe la sua brava metafisica della gioventù) fino alla contestazione del ’68 e oltre. Ad ogni ondata, il movimento giovanile si saldava con altre istanze e rivendicazioni presenti nella società: nazionali, oppure operaie, strettamente politiche oppure relative al costume, o alla morale o ai diritti soggettivi, in ogni caso capaci di formare un fronte ampio, su cui soffiavano partiti e sindacati (e, quando c’erano, formazioni extra-parlamentari, movimenti e gruppuscoli vari).

Che ne è di tutto ciò? Che è successo nel frattempo? Di sicuro sono in atto movimento di lungo periodo, anche se l’indebolimento del motivo della partecipazione politica, o dell’adesione ideologica, non significa necessariamente minore interesse per la cosa pubblica – o per lo stato del mondo. L’assemblea al Tasso mi ha, se mai, dimostrato il contrario.

Ma qualcosa è successo anche nel breve periodo, o nel brevissimo. Perché il governo la riforma della scuola l’ha fatta quest’anno, e sembrava proprio aver suscitato i maggiori contrasti, in Parlamento e nel paese, proprio su questi temi.

Invece: niente, o quasi. Assemblee pacifiche, studenti tranquilli, dirigenti rilassati. L’impressione è che o mancava prima la materia del contendere, o manca adesso la volontà di contendere. Ed è probabilmente più vera questa seconda ipotesi. Dietro la levata di scudi dei sindacati c’era evidentemente più spirito corporativo che preoccupazione per i provvedimenti del governo, più esigenza di salvaguardare il proprio ruolo che un raccordo effettivo con interessi e bisogni della scuola. Nel frattempo, infatti, la riforma è passata, e più di centomila nuove assunzioni hanno tolto parecchio fiato alla protesta sindacale. Nessuno ha potuto più soffiare, e il movimento studentesco ha preso altre strade: forse persino più mature, e più ragionate, di quelle che furoreggiavano tempo addietro. Anche se la notizia non c’è, è pur sempre un passo avanti.

(Il Mattino, 16 dicembre 2015)

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