A reti unificate no, perché la Rete è una, ma a Direttorio quasi unificato, Luigi Di Maio, Alessandro Di Battista e Luigi Fico prendono la parola per dire che no, loro non sapevano nulla. Ma nulla nullanulla. Che cosa avrebbero dovuto sapere? Che il sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo, era stata fatto oggetto di minacce da parte del più votato consigliere quartese del Movimento, Giovanni De Robbio, oggi nel mirino della Procura perché considerato terminale di clan camorristici. De Robbio è stato prontissimamente espulso, già a metà dicembre, eproprio questo dimostra – a detta del Movimento – che la risposta dell’Amministrazione grillina ai tentativi di infiltrazione camorristica è stata netta e ferma. Alla Capuozzo, d’altronde, non si rimprovera nulla, salvo il fatto che dovrebbe dimettersi. Siccome non lo fa, viene espulsa (e se i consiglieri non si dimettono saranno espulsi anche loro, par di capire). Cade dunque Di Robbio; cade il sindaco; cadono o cadranno i consiglieri. Ma Di Maio, Di Battista e Fico no: loro rimangono seduti, con stile disinvoltamente informale, su una qualche scrivania di Montecitorio da cui tutto spiegano e ogni accusa respingono. In diretta e in stile selfie collettivo, l’uno serio e impettito (Di Maio); l’altro spedito e irruente (Di Battista); l’ultimo quasi tenero e un po’ arruffato (Fico), ma tutti e tre ripetono la stessa cosa: non sapevano nulla.
Bene: ma allora, di grazia, cosa ci stanno a fare? Per quale motivo consiglieri e sindaco di Quarto cercavano Fico e Di Maio, se, conclusa l’affannosa ricerca, non li mettevano a parte di nulla? E per quale altro motivo il sindaco a una consigliera fa sapere che quello, De Robbio, «ricatta, ricatta, ma non ottiene niente», mentre ai capi del Direttorio rappresenta educatamente normali divergenze politiche? Roberto Fico sventolava iericon assoluto candore il messaggio con cui, su Whatsapp, rispose al capogruppo Nicolais (che chiedeva chiarimenti dopo l’espulsione di De Robbio), presentandolo come la prova provata che lui non sapeva assolutamente nulla. La sua risposta fu infatti un veloce sms a una persona che peraltro non conosceva neppure, e a cui dunque diceva di «andare avanti» ignorando completamente i fatti. Promettendo, certo, di interessarsene «appena possibile», ma evidentemente disinteressandone del tutto. Ebbene, se questa è la linea difensiva, allora è anche, lo voglia o no Fico, la dimissione da qualunque ruolo «direttoriale». Che lo si nomina a fare, un direttorio, con compiti evidentemente di guida, di direzione del movimento, se quando scoppia una grana simile nessuno si preoccupa di informarlo, codesto direttorio e i suoi inflessibili membri, o se, quando qualcosa arriva all’orecchio, loro se lo tappano, oppure si voltano dall’altra parte, oppure fanno finta di seguire la vicenda ma in realtà non la conoscono per nulla?
Bisognerebbe ristabilire le proporzioni. Il caso di Quarto – hanno ragione i Cinque stelle – non è minimamente paragonabile a vicende come quella di Mafia Capitale. È assolutamente vero che gli altri partiti hanno molte più rogne, da queste parti e in giro per l’Italia. Ma sono i Cinque stelle che hanno fissato l’asticella che ora rischiano di non riuscire a saltare. Sono loro che hanno preteso di fare pulizia non solo di ladri e delinquenti, ma pure di ombre, sospetti e maldicenze. Che però qualcosa non funziona è evidente,non solo perché continuano a fioccare le espulsioni, ma perché fioccano in maniera quasi surreale: quello che è in odore di camorra (De Robbio) viene espulso per dissensi sulla linea politica, mentre quella che ha resistito alla pressione camorristica (Capuozzo) viene espulsa per violazione delle regole del Movimento. Sembra il mondo rovesciato.
E sembra anche che, come al solito quando le cose accadono a insaputa di qualcuno, quello – o quelli – che non le sanno, non ci fanno una figura brillantissima. Perché delle due l’una: se i Di Maio e i Fico e i Di Battista sapevano, allora vale per loro quello che vale per la Capuozzo e dovrebbero lasciare l’incarico; se invece non sapevano, allora non si capisce quell’incarico cosa lo tengono a fare.
Come invece sarebbe stato tutto più lineare se i nuovi leader non si fossero preclusi o non fingessero di considerare indegna una gestione politica della vicenda, affrontandola nella sua vera sostanza! Bastava rivendicare con forza la capacità di resistere alle pressioni criminali, mostrando autentica solidarietà alla Capuozzo, e ammettendo l’unica cosa che c’era da ammettere: che la Rete da una parte e i certificati di buona condotta dall’altra non sono la leva miracolosa che consente di cambiare con un clic la classe dirigente. Perché la responsabilità politica è una cosa seria, a volte persino tragica, non surrogabile con le regolette del blog di Grillo. La sindaco Capuozzo è persona onesta e capace: sì o no? C’è qualcuno che sa dirlo, essendo poi conseguente con questo giudizio? Oppure si preferisce far valere la logica del capro espiatorio, per salvare la purezza del movimento? Possibile che, espellendola, questa domanda finisca col diventare, per i grillini, irrilevante? Di Battista spiega sulla sua pagina Facebook che i voti presi da De Robbio non hanno deciso il successo elettorale. Di nuovo, allora: perché andare a nuove elezioni? Se quel voto è pulito, va rispettato, e bisogna avere il coraggio politico di intestarselo, garantendo per esso, invece di buttare tutto a mare lavando via sospetti che loro stessi non fanno che alimentare, ignorando o fingendo di ignorare. Ma se uno nasce Robespierre, c’è poco da fare: certo non morirà mai Talleyrand, ma neppure gli riuscirà mai di sfuggire alla logica implacabile dell’epurazione.
(Il Mattino, 13 gennaio 2016)