Occhiali bifocali per le primarie napoletane del Pd. Per presbiti e per miopi: per chi vede da lontano (o vede lontano), e chi vede da vicino (o ha la vista corta).
In città, il partito democratico cerca di trovare la quadratura del cerchio intorno a Riccardo Monti; a Roma, si valuta l’ipotesi di puntare su Valeria Valente.
Le logiche con cui vengono individuati i due nomi non sono le stesse, così come sono diversi i profili dei due potenziali candidati in lizza. Riccardo Monti è è Presidente dell’Ice, l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane e viene dal mondo privato delle professioni. È un tecnico, giovane e preparato, con una vasta esperienza professionale e un curriculum di tutto rispetto. Ed è fuori dagli schieramenti correntizi che non riescono a trovare la composizione sul nome di un politico, legato al partito. Perché questo è il punto. La debolezza del Pd, i veti incrociati, la latitanza dei dirigenti locali portano all’amara constatazione che qualunque altro nome dividerebbe il partito.
Con argomenti del tutto analoghi si scelse cinque anni fa di puntare sul prefetto Morcone. Al suo nome si arrivò dopo il disastro delle primarie, e l’impossibilità di recuperare un simulacro di unità intorno a esponenti politici locali. Morcone significava serietà, efficienza, senso delle istituzioni. De Magistris vinse le elezioni.
Valeria Valente è invece donna, è anche lei giovane, ma ha alle spalle una lunga militanza nelle file del movimento studentesco prima, della sinistra partenopea poi. Ha esperienza amministrativa, avendo ricoperto l’incarico di assessore nella giunta Iervolino, ed è coordinatrice regionale dei giovani turchi, l’area politica del presidente del Pd, Matteo Orfini. Ha infine un legame antico con Antonio Bassolino, lo spauracchio di questo ennesimo giorno di passione delle primarie napoletane.
E questo è il punto. Bassolino ha annunciato la sua candidatura constatando l’assenza di una classe dirigente locale. Ha più volte ripetuto che se il Pd fosse stato in grado di esprimere una nuova leadership, avrebbe volentieri continuato a fare il nonno. Un argomento che avrebbe difficoltà a riprendere, qualora fosse davvero la Valente il nome su cui punta il Pd. Perché, oltre a marcare una netta discontinuità generazionale, si dà il caso che Valeria Valente abbia mosso i primi passi in politica proprio sotto l’ala di Bassolino. Sarebbe dunque naturale che, di fronte alla scelta del Pd di scommettere su un nome a lui storicamente vicino, compagna di stanza nella Fondazione Sudd che presiede, Bassolino mettesse da parte le ambizioni personali e desse anzi una mano nella partita più importante, quella che si giocherà per Palazzo San Giacomo.
Difficile, però, fare previsioni. Altri fattori intervengono nella partita. La debolezza politica del Pd parla a favore di Monti. A Napoli non c’è nessuno capace di fare la sintesi, come si diceva una volta. Il nome di Valeria Valente non passa nelle componenti più centriste del Pd. Che continuano a esercitare un ruolo di interdizione, riproducendo un gioco a somma zero che confidano di spezzare solo ricorrendo al papa straniero. Il pregio di Monti – lo standing internazionale, il tratto manageriale ed efficientista – è in realtà lo specchio rovesciato del partito democratico napoletano. Come nel Dorian Gray di Oscar Wilde: il partito invecchia e incartapecorisce in soffitta, vergognoso di sé e dei propri limiti, e mette davanti e manda in giro per la città il volto nuovo e brillante di un uomo di successo, chiamato a rappresentare il cambiamento.
A ciò si aggiunga che a Palazzo Santa Lucia siede un governatore che di un sindaco piddino non sente affatto il bisogno, tanto più se proviene dal mondo bassoliniano, verso il quale ha più di una ruggine. De Luca è abituato a non avere intralci politici tra i piedi; sceglie assessori tecnici per essere l’unico in grado di capitalizzare politicamente l’operato dell’Amministrazione; non ha nessuna ragione per preferire un candidato che avrebbe dalla sua anche la forza di un imprimatur romano.
Ma Roma rilutta. Orfini preme per la soluzione Valente, la più chiara politicamente. Del resto, a Roma il Pd sta convergendo sul nome di Giachetti: anche lì, un politico. Lo schema sarebbe dunque questo: i renziani esprimono il candidato sindaco a Roma, l’altro pezzo – più di sinistra – della maggioranza mette il candidato a Napoli. Dove tra l’altro c’è bisogno di togliere voti di sinistra a De Magistris e ai Cinquestelle. E dove, soprattutto, si può così sperare in un ripensamento di Bassolino.
Non ci vuol molto: è probabile che sapremo domani, nella direzione nazionale del Pd, quali lenti il Pd si metterà sul naso, e il nodo verrà infine sciolto.
(Il Mattino – ed. Napoli, 22 gennaio 2016)