Qual genere di sapere è la filosofia? Domanda che l’accompagna da che il mondo dura. Il che non vuol dire che non abbia una risposta. Anzi: ne ha due. Se non siamo troppo moderni, e non pretendiamo di caratterizzare il sapere esclusivamente in base al metodo, bensì muovendo dai suoi oggetti, ci imbattiamo infatti in due grandi stili di risposta. Secondo il primo, la filosofia si occupa di oggetti particolarmente eminenti, fuori della portata del sapere scientifico e del senso comune: Dio, oppure il nulla, o l’inizio di tutte le cose. Per l’altro, la filosofia si occupa invece della domanda la più banale di tutte: «che cos’è una cosa?». Il che non toglie che i filosofi non abbiano provato a collegare l’una domanda all’altra, di andare da quest’ultima su su fino alla prima, su Dio o sul tutto.
Nell’ultimo paio di secoli la filosofia ha compiuto invece il percorso opposto: giù giù verso la fertile bassura dell’esperienza, come la chiamava Kant, o verso un’ontologia della vita fattizia, come invece la chiamava Heidegger, slargando il campo sino a includervi la dimensione ordinaria dell’esistenza. Anzi: pretendendo di impostare l’intera questione del senso dell’essere a partire da lì, dalla vita quotidiana.
A una fenomenologia della vita quotidiana è dedicato l’ultimo libro di Enrica Lisciani Petrini, studiosa del pensiero francese contemporanea molto attenta all’intersezione della filosofia con i linguaggi dell’arte e della musica. L’esplorazione del quotidiano è infatti condotta in questo libro, con l’aiuto delle più grandi esperienze del Novecento. Nelle sue pagine si incontrano Debussy e Kubrick, Proust e Schönberg, Klee e Bergman. Si ascolta il Wozzeck di Berg e si guarda una fotografia di Evans. Si legge la Psicopatologia di Freud e si assiste a una pièce di Brecht. Un sapiente incastro di esperienze e pratiche artistiche costruito fuori dai tradizionali steccati disciplinari e con grande libertà di mezzi concettuali. Il che non vuol dire che non formi un pensiero rigoroso del presente, organizzato intorno a una tesi di fondo: che sia la dimensione impersonale e anonima della vita quella che restituisce più verità alle nostre vite di quanta gliene prestino le pose soggettivistiche costruite intorno ai concetti di io, coscienza, persona. Il quotidiano sfugge, scriveva Blanchot, perché «è privo di soggetto». Resta forse da chiedersi, infine, quale sia, e se vi sia, non la forma estetica o filosofica, ma la forma politica che corrisponde a questa sparizione del soggetto, che domina tanta parte della vita e del pensiero contemporaneo.
Enrica Lisciani Petrini, Vita quotidiana. Dall’esperienza artistica al pensiero in atto, Bollati Boringhieri.
(Il Mattino, 14 febbraio 2016)