Nel canale «Crime+Investigation», sulla piattaforma Sky, c’è spazio anche per le storie di camorra. Da stasera vanno infatti in onda tre puntata di una mini-serie, «Camorriste»: «uno sguardo senza precedenti sulla vita di alcune donne che hanno fatto parte della camorra». Donne che non vivono all’ombra dei loro uomini, ma che assumono posizioni di responsabilità all’interno dei clan. Donne che sparano, donne che tradiscono o sono tradite, che scontano in carcere la loro pena fino in fondo o che collaborano con la giustizia, rompendo tutti i legami con il mondo di origine.
«Crime+Investigation» è un canale dedicato interamente al «real crime», cioè a crimini realmente verificatisi. Ci sono i criminali seriali, le violenze domestiche, i rapimenti, i casi irrisolti: tutta la cronaca nera che un tempo appassionava i lettori di rotocalchi viene oggi riversata in tv, a uso dello spettatore che conosce già il formato tipico dei canali tematici dedicati alla storia, oppure allo sport, o all’arte. Solo che al posto del grande atleta, o del personaggio storico, del museo o di qualche altra attrazione ci sono tre camorriste, che raccontano «per la prima volta, senza intermediari» la loro vita all’interno dei clan. La novità sta appunto nel fatto che si tratta di donne: siccome nell’immaginario collettivo la delinquenza è ancora soltanto maschile, far parlare le camorriste significa mostrare uno spaccato abbastanza inedito di quel mondo. Ma, quanto alla forma, la serie segue il canone imperante: voce off, testimonianze dei protagonisti, riprese documentaristiche di ambienti e luoghi, e infine ricostruzioni attoriali per la drammatizzazione della cronaca.
È interessante tuttavia che, nella presentazione del nuovo programma, si faccia notare che compaiono tra gli intervistati anche magistrati e rappresentanti delle forze dell’ordine. «Camorriste», ci viene assicurato, «sottolinea anche gli sforzi compiuti e i successi ottenuti dallo Stato per contrastare la criminalità organizzata». Ora, da dove viene questa sottolineatura, se non dal confronto con «Gomorra-la serie»?
In realtà, il confronto è abbastanza improponibile. E non certo perché in questa mini-serie c’è spazio anche per i buoni, mentre nel racconto di «Gomorra» gli autori li hanno deliberatamente tenuti fuori. Ma perché, tanto per cominciare, «Camorriste» non è nemmeno una serie in senso stretto, se per serie s’intende non un seguito di episodi finiti e conclusi, che cominciano e finiscono ad ogni appuntamento, ma un’unica narrazione che si snoda di puntata in puntata, aprendo alcune porte e chiudendone altre, in uno sviluppo che rimane però unico e unitario.
Quel che «Gomorra» e «Camorriste» hanno in comune è solo la materia criminale. Ad onta però del fatto che «Camorriste» racconta storie vere – anzi: proprio per questo motivo – non ha bisogno di produrre un effetto di realtà. Sembra un paradosso ma non lo è: «Gomorra-la serie» è dichiaratamente fiction, costruita secondo i canoni dello spettacolo televisivo, nelle riprese, negli effetti sonori, nelle musiche. Proprio perciò deve essere pignola nei dettagli, maniacale nelle ricostruzioni, e offrire in ogni inquadratura una densità di significato che invece le immagini più slabbrate di «Camorriste» non posseggono. Si tratta, infatti, in questo secondo caso, di circostanze e storie vere, e dunque: dalla recitazione al materiale di scena, dall’uso della lingua alle luci, tutto può essere un po’ più inaccurato.
Lo stesso si dica dei personaggi: quelli di «Gomorra-la serie» sono finti, dunque devono assolutamente essere credibili. Le donne di «Camorriste» invece sono donne vere, e dunque possono fare a meno di convincere ed avvincere. Sono proprio loro, con i loro nomi e cognomi, anche se non sempre possono essere mostrate in volto (alcune sono sotto protezione) e devono nelle riprese farsi sostituire da attori. Il che, evidentemente, rende per principio poco credibile e per niente spettacolare la scena interpretata.
Dopodiché ci si può domandare che cosa dia a conoscere meglio il fenomeno camorristico, se una serie spettacolare come «Gomorra», oppure una produzione documentaria come «Camorriste». Se funzioni di più la sceneggiatura realistica o la realtà sceneggiata. Donna Imma, la moglie del boss Savastano, o Cristina Pinto, la guardia armata del capoclan Pennella? Scianèl, che comanda una piazza di spaccio, o Anna Carrino, sposa di uno dei Casalesi? È, in fondo, una domanda che si poneva già Aristotele, nella sua Poetica, quando confrontava la poesia e la storia. E dichiarava di preferire la poesia, più vera perché più universale della storia, essendo quest’ultima legata ai casi particolari. Ora, Aristotele nulla sapeva di camorra, ma forse tutti i torti non li aveva.
(Il Mattino, 24 maggio 2016)