La partita politica che si gioca sul voto del 4 dicembre rischia di avere il sopravvento su quella istituzionale. In realtà, è evidente da tempo che le due partite sono indissolubilmente intrecciate, ed è difficile immaginare che sarebbe potuta andare diversamente. L’azione di riforma costituzionale intrapresa dal governo Renzi, ma già impostata dal governo presieduto da Enrico Letta, era iscritta all’origine di questa legislatura: pensare che possa risolversi – qualunque sia lo scioglimento finale – senza coinvolgere le prospettive politiche che si profileranno all’indomani dell’esito referendario è abbastanza ingenuo.
Questo è dunque il nodo sostanziale, da cui dipendono legami, rapporti, alleanze. Così si muovono ormai i protagonisti della campagna elettorale. Così è anche tra De Luca e Renzi. Le cronache dicono che fra i due sarebbe sceso il gelo, dopo le frasi indifendibili del governatore campano su Rosi Bindi,e dopo le apostrofi schiette fino alla brutalità, da lui usate per mobilitare sindaci e amministratori locali. Il tour elettorale di Renzi, che è di nuovo stato in Campania, non ha portato infatti il governatore e il premier di nuovo l’uno accanto all’altro: imbarazzo, prudenza, o presa di distanza? Forse nessuna delle tre. O forse meglio: nessuna delle tre condotte tocca il nodo vero, che dipende molto meno dalle parole usate in questi giorni e molto di più dai rapporti di forza che il voto referendario consentirà di misurare.
De Luca, infatti, non ha smesso un solo istante di fare campagna elettorale. E andrà avanti così, fino all’ultimo giorno utile. Figuriamoci se si lascerà infastidire dalle critiche che ha ricevuto in questi giorni, in privato e in pubblico, o da una stretta di mano mancata. Il suo obiettivo è chiaro: quali che siano le percentuali che il sì riuscirà a raggiungere il 4 dicembre, la Campania deve stare al di sopra di quelle percentuali. E più starà al di sopra, più sarà l’ago della bilancia, meglio De Luca dimostrerà non solo il consenso di cui gode, ma che – ancora una volta – quel consenso è anzitutto merito suo. Poi, certo, non è la stessa cosa: se il sì vince, Renzi rimarrà ancora a lungo il dominus della situazione, e De Luca avrà da trattare con lui, sulla base del risultato campano. Se invece vince il no, si giocherà in un futuro non lontano la rivincita delle elezioni politiche: a scadenza naturale o anticipata, con o senza una nuova legge elettorale, con o senza un governo di scopo, o di transizione, ma in ogni caso con Renzi ancora in campo a guidare il fronte del cambiamento. E De Luca a dettare le sue condizioni per sostenerlo.
Insomma, sia Renzi sia De Luca non hanno scelto di amarsi e onorarsi per tutti i giorni della loro vita. Non lo hanno scelto ieri, né lo avevano scelto un anno fa. Checché se ne dica, i due non si somigliano affatto, né a quanto pare vogliono somigliarsi. Le parti sono assegnate e ognuno fa il suo: Renzi vuole essere il perno di un sistema politico nazionale rinnovato, e De Luca vuole essere il rappresentante degli interessi meridionali nel nuovo assetto istituzionale. Ma, per il resto, i due non hanno la stessa cultura politica, non provengono dalla stessa storia, non hanno la stessa età e probabilmente nemmeno gli stessi gusti. È vero che in entrambi non si trova più la fraseologia tradizionale della politica italiana, ma la nuova non è fatta con lo stesso impasto. De Luca non cessa di dimostrare che ha la forza per andare avanti senza perdere tempo – a volte senza neanche prendersi il disturbo di far valere le proprie migliori ragioni –; Renzi, dal canto suo, tiene alle ragioni del suo progetto politico, ma certo non ignora che ha bisogno di forza per portarle avanti.
Soprattutto al Sud. La rottamazione ha comportato un ricambio politico di classe dirigente a livello nazionale, e i D’Alema e i Bersani ne hanno fatto le spese. Ma nelle diverse realtà locali, e in particolare nel Mezzogiorno, non è andata nello stesso modo. Le sue primarie, anzi, Renzi le ha vinte proprio grazie all’appoggio di pezzi di partito, amministratori e sindaci che hanno trovato in lui l’unica risposta credibile ai Cinquestelle (e spesso anche l’unica maniera possibile per rimanere a galla). Però, al di là delle reciproche convenienze e delle personali ambizioni, il combinato disposto di Renzi a Roma e De Luca a Napoli finora ha dimostrato di funzionare. De Luca porta in dote un consenso e una popolarità larga, che Renzi non si sogna di turbare, e in cambio chiede un’attenzione speciale per la Campania – in termini di risorse e investimenti – che il governo non gli fa mancare.
Chi usa il termometro per misurare la tenuta dell’accordo politico fra i due non registrerà bruschi cambiamenti: non siamo alle basse temperature oggi, come non si scaldavano i cuori ieri. Siamo invece nella regione temperata dell’accordo, della mediazione, dello scambio, dove si coagulano interessi e forze sociali, istanze collettive e, anche, identità nazionale. Non è un male, e neppure un bene: è il materiale di cui è fatta la politica, e che può svoltare tanto nel senso del cambiamento, quanto nel senso della conservazione.
(Il Mattino, 21 novembre 2016)