Quel che resta dell’ultimo partito

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La situazione non è commendevole. E siccome non è la prima volta che il partito democratico a Napoli ne combina di grosse, si capisce che da Roma abbiano dovuto correre ai ripari e mandare un dirigente nazionale, Emanuele Fiano, per verificare la regolarità del tesseramento. Ieri è infatti esploso un nuovo caso: si va nella sede del partito coi documenti e ci si iscrive, poi c’è qualcuno che passa e paga per te. Una specie di tessera sospesa, come il caffè.

È dalle primarie del 2011 che al Pd napoletano non ne dice buona una: tra anomali e contestazioni, numeri gonfiati e candidati a loro insaputa, per il partito democratico non c’è pace. Così anche questa volta c’è il forte sospetto di infiltrazioni e irregolarità nel percorso congressuale appena avviato. Le primarie che si svolgeranno il 30 aprile sono tuttavia primarie aperte, e potranno parteciparvi sia gli iscritti che i non iscritti, quindi i casi segnalati non investono la competizione principale. Ma pesano sugli equilibri locali, che evidentemente contano ancora qualcosa, se i numeri del tesseramento, che a Napoli erano precipitati a poche migliaia, si sono improvvisamente gonfiati, e bisogna ora aggiungere uno zero per dar conto delle nuove file di aderenti al partito.

Ma togliamo pure lo zero – e sarebbe provvedimento troppo drastico, perché accade sempre che nelle annate congressuali cresca considerevolmente il numero degli iscritti – togliamolo ed avremo comunque una cifra che gli altri partiti non hanno, non raggiungono, nemmeno sfiorano. I partiti politici italiani non hanno uno statuto, non riuniscono organi collegiali, non tengono congressi. In venti e più anni, Berlusconi non ha indetto una sola assise congressuale: non ce n’era bisogno. In queste ore si leggono indiscrezioni sul rinnovamento delle file dei parlamentari che sono legate quasi soltanto alla volontà del Cavaliere. Poi, certo, Berlusconi si confronta e ascolta qualcuno dei suoi, e a volte è costretto pure a rimangiarsi le intenzioni più bellicose, ma non c’è nulla nel processo decisionale che sia in qualche modo riconducibile a regole di partito, o a una legittimazione anche solo formalmente democratica. Quanto al Movimento Cinquestelle, lì la situazione è ancora più misteriosa, perché ci sono i meetup e le votazioni online, ma nessuno capisce bene come stiano in relazione con gli ukase di Grillo, nessuno può guardare dentro la misteriosa piattaforma Rousseau che regola il traffico in Rete, nessuno, infine, sa quando può essere raggiunto da una implacabile e semi-teologica mail dello «Staff»: si sa solo che è come il Natale, quando arriva arriva.

Ora, queste cose non le ricordo per suggerire comprensione, e magari per mettere rapidamente una pietra sopra i piccoli e grandi imbrogli che inquinano la competizione nel partito democratico. C’è da augurarsi anzi che Fiano, o chi per lui, voglia davvero scoperchiare tutto quello che c’è da scoperchiare: finché non lo si farà, il Pd non ripartirà mai veramente. Ma è un fatto che questa volta qualcosa, almeno, ha funzionato: in alcuni circoli si è intervenuti in via preventiva, in altri si è chiuso il tesseramento in anticipo, e soprattutto nei casi segnalati sono stati esponenti del partito ad attivare verifiche e controlli. È chiaro che non basta, ma quel che ci vuole in più non è certo di abolire i partiti, sbaraccare tesseramento e congressi, e impoverire ulteriormente la dialettica politica. Quel che ci vuole è una legge sui partiti che dia concretezza giuridica all’indicazione contenuta nell’articolo 49 della Costituzione, secondo la quale i partiti devono concorrere «con metodo democratico» a determinare la politica nazionale.

Di metodo democratico ce n’è invece sempre meno traccia nella vita interna di quasi tutte le formazioni politiche italiane. Il Pd, pur con tutte le storture che la cronaca non manca di raccontare, qualcosa del genere, dopo tutto, ce l’ha (e, a dire il vero, ce l’ha anche la Lega): tiene le primarie, che rimangono un campo aperto e contendibile a più di un candidato, organizza il tesseramento, elegge gli organismi direttivi, ha un’articolazione interna fatta di correnti, di minoranze e di maggioranze. Poi capita che alcuni escano, che altri lamentino lo stile di conduzione del partito, che altri critichino lo statuto e altri ancora trovino insoddisfacente la semplice «conta», ma tutto sommato capita quel che capita, più o meno, in un partito politico. Comprese certe schifezze.

Se però quegli stessi che dal Pd sono usciti non chiudono del tutto la porta ma anzi rinviano ad un prossimo futuro l’occasione di ritornare insieme, vuol dire che lo spazio che il partito democratico occupa rimane decisivo per gli equilibri del Paese, centrale rispetto agli sviluppi futuri della politica italiana. E questa, beninteso, è un’aggravante a carico di quei soggetti che inquinano, per stupidità o prepotenza, il normale andamento della competizione. A Napoli come ovunque abbiano a presentarsi.

(Il Mattino, 2 marzo 2017)

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