Se Salvini e Grillo stanno con Putin

trump putin

La risposta militare di Donald Trump all’uso delle armi chimiche da parte del regime di Bashir al-Assad ha dato uno strattone robusto all’opinione pubblica internazionale. Inorridita per l’uso del gas da parte del dittatore siriano, ma forse non altrettanto convinta delle buone ragioni dell’intervento americano: non bisognava attendere un pronunciamento formale delle Nazioni Unite? Non bisognava portare la decisione sull’impiego delle armi dinanzi a qualche foro multilaterale? Non doveva esserci l’Unione Europea a fianco dell’America? Accanto a questi dubbi che più o meno ricorrono sempre, tutte le volte che si dimostra l’inanità degli organismi sovranazionali, quasi sempre bloccati da veti reciproci e incapaci di intraprendere iniziative autonome, stanno i dubbi sul nuovo Presidente a stelle e strisce: chi è Trump? Non aveva cominciato la sua Presidenza rispolverando tentazioni isolazionistiche? Non era pappa e ciccia con Putin? E com’è possibile allora che scaraventi 59 missili Tomahawk su una base militare del regime siriano, che agisce sotto la protezione della Russia? E qual è, in generale, la strategia americana per il Medio Oriente?

A scorrere le agenzie che si susseguono in queste ore, si scopre con qualche sorpresa che il maggiore sconcerto lo si registra non tra le file della sinistra, bensì tra quelle della destra che avremmo fino a qualche giorno fa – o forse fino a un minuto prima dell’attacco – qualificato come trumpiana, entusiasta delle scorrettezze politiche del neo-Presidente, e pronta a esultare per la fine degli equivoci buonisti dell’era Obama. Trump è quello del muro al confine col Messico, dello stop all’ingresso degli stranieri, dell’incremento del bilancio della Difesa, ma da ieri è anche quello del bombardamento della base siriana di Shayrat.

In Francia, dichiarazione di Marine Le Pen: «è troppo chiedere di aspettare i risultati di un’inchiesta internazionale indipendente prima di procedere a questo tipo di attacchi?». Dichiarazione della nipote, Marion: «Questo intervento è una delusione, è un danno per l’equilibrio del mondo». Certo, la destra francese ha una vivace tradizione di antiamericanismo, a cui può attingere in circostanze come questa. Ma anche in Gran Bretagna, il leader nazionalista Nigel Farage non ha rilasciato una dichiarazione di aperto sostegno. Tutt’altro: «Molti sostenitori di Trump saranno preoccupati per questo intervento militare: come andrà a finire?».

Se veniamo in casa nostra, le prese di posizione più apertamente contrarie le leggiamo tra i Cinquestelle. Dove Grillo aveva salutato con soddisfazione la comparsa dell’uomo forte Trump, all’indomani delle elezioni presidenziali, lì il deputato Di Stefano ha potuto tuonare: «sono bastati pochi mesi per allineare Trump ad un principio storico: in USA non comandano i Presidenti ma le lobby della guerra e del petrolio». In queste parole l’antiamericanismo ideologico che un tempo albergava nel pacifismo di sinistra (ma anche in certa destra estrema) torna ad esprimersi allo stato puro, grezzo, non mescolato con le prudenze dei comunicati ufficiali del Movimento, che parlano solo di «rischio» che si sia violato il diritto internazionale e, naturalmente, lamentano l’assenza dell’ONU.

Con Salvini le cose non vanno molto diversamente. Il leader leghista, che nei mesi scorsi aveva fatto circolare tutto contento la foto che lo ritraeva in compagnia di The Donald, ora parla di «pessima idea, grave errore, regalo all’ISIS». Mentre Giorgia Meloni teme che si continui la politica di Obama, con un sostegno indiretto al fondamentalismo islamico.

C’è un fronte “sovranista”, dunque, che si salda nella critica all’azione unilaterale del presidente americano, e che vede schierati dalla stessa parte Fratelli d’Italia, la Lega Nord e i Cinquestelle. (mentre tace la voce più moderata di Forza Italia).

A sinistra le cose stanno all’opposto. Il premier Gentiloni – che si è preso del «vassallo» degli USA dal terzomondista Di Battista – non diversamente dagli altri leader europei ha parlato di una «risposta motivata» al crimine di guerra perpetrato da Assad. Matteo Renzi gli ha dato manforte: «nessuno può permettere che dei bambini vengano uccisi nel modo in cui da anni in Siria si continua a fare».

Certo, se si guarda in fondo a sinistra, e si arriva sino al neosegretario di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, si trova ancora l’opposizione dura e pura contro l’imperialismo yankee: «I missili di Trump non sono al servizio della democrazia e dei diritti umani – ha detto Acerbo –, l’attacco americano è un atto di terrorismo internazionale». Se però si lascia la sinistra antagonista i toni si fanno nuovamente responsabili. C’è il consueto richiamo al ruolo che l’Europa dovrebbe assumere sul teatro mediorientale, l’auspicio di Andrea Orlando che quello di Trump sia stato un «episodio isolato», e la preoccupazione di Enrico Letta per una politica estera americana «a zig zag». Ma il tradizionale ombrello atlantico sotto il quale la sinistra ha finito col ripararsi negli ultimi anni – dal Berlinguer che preferisce la Nato fino a Massimo D’Alema che approva le operazioni nella ex-Jugoslavia – è tornato ad aprirsi. Certo, si preferirebbe usare la coperta dell’europeismo. Ma siccome quella coperta è, nei fatti, solo un velo di ipocrisia che si squarcia ad ogni nuova crisi internazionale, al dunque la sinistra opta per l’interventismo americano anche se alla Casa Bianca non siede più il liberal Obama ma il rude miliardario Trump.

Così suona come un paradosso, quello che si disegna sullo scacchiere della politica nazionale: la destra non segue Trump e si schiera per la pace, come dice senza tema del ridicolo Salvini, mentre la sinistra vede i rischi che il neopresidente conservatore USA si accolla e li giustifica, anche se il confronto con la Russia si avvicina a un punto di non ritorno. «Ad un passo dallo scontro», scriveva ieri il premier Medvedev, mentre mandava una nave da guerra a incrociare dalle parti dei cacciatorpedinieri americani da cui è partito l’attacco. Scontro a fuoco per fortuna ancora no, ma scontro ideologico dai confini incerti tanto quanto l’intero ordine mondiale forse sì.

(Il Mattino, 8 aprile 2017)

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