Archivi del giorno: giugno 13, 2017

Le ambizioni politiche e la città dimenticata

Napoli

Un «buon risultato», dice Luigi De Magistris, che trae dal voto amministrativo di domenica motivi di soddisfazione per gli esiti di Arzano e Bacoli, dove i candidati appoggiati dal Sindaco di Napoli hanno raggiunto il ballottaggio. Non è andata così nelle altre città dove compariva il simbolo della lista DemA, ma, parola del Sindaco, «era importante cominciare». Certo, in tempi di estrema volatilità del voto, tutto può essere: persino che un giorno l’attuale primo cittadino siederà a Palazzo Chigi, con un consenso capace di andare oltre la cinta daziaria del capoluogo partenopeo, ma intanto che cosa si fa? Di fronte all’esiguità dei numeri raggranellati domenica, è più facile ipotizzare per Dema un destino simile nelle percentuali alla infausta «Rivoluzione civile» di Antonio Ingroia, che non improvvisi sfondamenti elettorali, sul modello di Podemos in Spagna. Il dato medio di Dema si aggira infatti tra il 5% e il 6%: non propriamente un successo. De Magistris pesca inoltre in un’area nella quale sono già presenti numerose formazioni politiche di sinistra-sinistra – da Pisapia a Sinistra Italiana, da Civati a Mdp di Bersani e D’Alema –, senza dire che il voto dato in nome della trasparenza, della giustizia, della partecipazione ha già, a livello nazionale, un forte catalizzatore nel Movimento Cinquestelle.

Ma vada come vada: cosa si fa, intanto? Tutte le sinistre massimaliste hanno avuto, da sempre, il limite di non curarsi troppo dei programmi «minimi», cioè delle cose da fare nel frattempo, prima che scocchi l’ora X della rivoluzione. La differenza è che però De Magistris rimanda tutti a un appuntamento politico fissato a data da destinarsi, o comunque molto lontano nel tempo, mentre si trova a fare personalmente il sindaco, mentre cioè siede a Palazzo san Giacomo e ha doveri amministrativi piuttosto impellenti. La sua Amministrazione ha i cantieri aperti su via Marina o da aprire per la manutenzione di corso Vittorio Emanuele: in quel caso, l’importante non è affatto cominciare, ma finire, possibilmente nel rispetto dei tempi previsti per la realizzazione delle opere, limitando i disagi ai cittadini. Ha difficoltà nel rispettare gli adempimenti contrattuali con la ditta impegnata nella revisione dell’impianto della Funicolare Centrale, col rischio che i lavori non vengano ultimati a causa del ritardo dei pagamenti. Ha da inventarsi una strategia per il sistema dei trasporti pubblici e un’Azienda pubblica sull’orlo del fallimento, costretta a aumentare il costo dei biglietti (scattato ieri) senza poter offrire miglioramenti dal lato dei servizi erogati. Ha da ristrutturare i servizi colabrodo di riscossione delle multe e dei canoni di locazione, ha da realizzare vendite di immobili da anni al palo, ha da costruire un’idea di organizzazione e gestione dei flussi turistici che vada al di là dell’entusiasmo estemporaneo per l’aumento delle presenze. Ha, infine, da impegnarsi su Bagnoli mettendo da parte i calcoli politici: smettendola di cercare soddisfazioni simboliche in nome dell’orgoglio, dell’indipendenza, dell’autonomia e della sovranità della città, per accomodarsi più modestamente a una seria collaborazione istituzionale.

La mistura ideologica del progetto DemA non è, ad oggi, formula che giustifichi le ambizioni politiche del suo inventore, ma quand’anche lo fosse, non dovrebbe funzionare come un’arma di distrazione di massa. Tra l’attuazione della Costituzione e l’attuazione di un programma amministrativo solido e concreto, la preferenza va accordata alla seconda: se non altro perché proprio la Costituzione e la legge gliene assegnano il compito. E poi: va bene fare il bilancio del voto nell’hinterland, o farsi venire la curiosità di registrare quanti voti DemA ha preso a Taranto (poco più dell’1%) o a Carrara (quasi il 2%), ma per i cittadini napoletani i problemi di bilancio del Comune e lo stato di pre-dissesto, tra debiti fuori bilancio e inefficienze ammnistrative, costituiscono una preoccupazione ben più pressante.

A chiusura del Maggio dei monumenti, De Magistris ha sottolineato il grande successo della manifestazione e ha poi aggiunto: «Ora siamo impegnati anche a rafforzare finanziariamente ed economicamente l’Ente e mettere in campo le azioni per migliorare tutti i servizi». Ecco: se quell’«anche» diventasse nei mesi prossimi un: «innanzitutto e quasi esclusivamente», siamo sicuri che se ne gioverebbe il suo profilo di Sindaco e soprattutto ne guadagnerebbe la città.

(Il Mattino, 13 giugno 2017)

Se la fiducia oscura la protesta

4 stelle

Un voto che è una bocciatura. Per i Cinquestelle, il turno amministrativo di ieri si sta rivelando, stando ai primi risultati, una piccola débâcle. In proporzioni diverse da quelle che hanno subito le altre forze populiste nell’ultimo anno – e in particolare nel Regno Unito, con il crollo di giovedì scorso del partito indipendentista UKIP, e in Francia, ieri sera, con il forte ridimensionamento del Front National di Marine Le Pen alle elezioni legislative – ma in misura comunque assai significativa. Per i Cinquestelle, spesso non c’è raffronto possibile con le precedenti elezioni, quando in molte realtà locali non erano ancora presenti;  l’esito del voto di ieri va tuttavia commisurato alle ambizioni di una formazione politica che presentava se stessa come il primo partito del Paese, e che nell’ultimo post apparso sul blog di Beppe Grillo rivendicava il dato di una presenza  su tutto il territorio nazionale persino superiore a quella del partito democratico, che in molte città e comuni ha rinunciato al simbolo per correre sotto liste e raggruppamenti civici. Se queste erano le ambizioni di partenza, lo scenario che gli exit poll prefigurano forniscono un prospettiva molto chiara: al ballottaggio, avremo quasi sempre sfide tra candidati di centrosinistra e candidati di centrodestra; di grillini, almeno nei principali centri andati ieri al voto, non ce ne sarà quasi nessuno. Certo, un voto amministrativo, distribuito a macchia di leopardo sul territorio nazionale, non consente facile estrapolazioni, e spesso il dato complessivo tradisce la specificità di situazioni locali. In alcuni casi, poi, gli errori commessi dai Cinquestelle sono stati macroscopici: a Palermo è scoppiata la grana delle firme false; a Parma pesava il fenomeno Pizzarotti, l’espulso eccellente che ha continuato a godere, nonostante la rottura con Grillo e Casaleggio, di un largo consenso in città; a Genova, infine, c’è stato il clamoroso annullamento delle primarie vinte dalla Cassamatis, che Grillo proprio non voleva candidare a sindaco. Ovunque, insomma, la fragilità dell’organizzazione e le faide interne ai pentastellati hanno reso difficile la partita, e nelle urne si è visto. Ma i Cinquestelle si ritrovano fuori dal secondo turno anche negli altri capoluoghi: a Verona, a l’Aquila, a Catanzaro.

Fatte salve analisi più ravvicinate del voto, la giornata di ieri sembra imporre un brusco stop alle ambizioni di Di Maio & Co. Difficile dire se l’incertezza seguita al referendum del 4 dicembre abbia avuto l’effetto di spaventare almeno una parte dell’elettorato, in cerca di elementi di stabilizzazione del quadro politico piuttosto che di nuove spallate o nuove avventure. Difficile anche proiettare il voto di domenica sulle future elezioni politiche, in una fase di estrema volatilità del voto. Difficile infine trarre auspici sulla tenuta del sistema, come se il largo discredito del ceto politico, che rimane il carburante principale del motore a Cinquestelle, fosse  stato definitivamente riassorbito. Certo è che la bocciatura di ieri impone comunque, a Grillo e ai suoi, una riflessione di carattere strategico: la delusione dipende dall’attenuazione della spinta protestataria e qualunquista, o al contrario dal non avere saputo assumere fino in fondo i lineamenti di una forza politica matura? Dopo un’intera legislatura, molti nodi non sono stati ancora sciolti, e il voto amministrativo, tradizionalmente più indigesto per le forze meno strutturate, evidenzia il mancato scioglimento del dilemma.

Ma i risultati di ieri dimostrano anche qualche altra cosa: da un lato, che il centrosinistra dispone ancora, sui territori, di un personale politico sufficientemente radicato da reggere il peso della sfida, e che anche il centrodestra, il cui profilo a livello nazionale si fa fatica a indovinare, diviene competitivo sul piano locale quando ritrova una parvenza di unità. Esiste ancora, insomma, un elettorato di centrodestra che chiede di essere adeguatamente rappresentato. Il resto lo fa la legge. I sistemi elettorali non sono la panacea di tutti i mali, ma qualche effetto lo producono. La legge sui sindaci polarizza i comportamenti degli elettori, che premiano proposte di governo delle città, più che scelte di semplice appartenenza. È un modello di democrazia che, dopo tutto, mostra di funzionare. E si prende la sua rivincita sui tentativi di azzerarlo.

(Il Mattino, 12 giugno 2017)