Archivi del giorno: agosto 21, 2017

La gioventù cancellata dall’odio

Gilliam

S. Gilliam, Fire (1972)

Muoiono, e sono giovani. Uccidono, e sono giovani. Conoscete la canzone «Under the mango tree»? A Vilnius Lancastre, il protagonista del romanzo «Un’aria da Dylan» dello scrittore barcellonese Enrique Vila-Matas, il calipso leggero e scanzonato della canzone dona una lieve felicità: «e allora?», chiede. Che cosa c’è di male ad essere felici grazie a una canzonetta? Che cosa c’è di male se ogni tanto sentiamo il bisogno di respirare un po’ di leggerezza? E cos’altro respiravano, a Barcellona, Luca Russo e Bruno Gullotta, i due italiani vittime dell’attentato sulle ramblas della città catalana? Entrambi erano in vacanza a Barcellona. Bruno era con la sua famiglia, con i suoi figli, con la moglie, quando il furgone lo ha falciato, lasciandolo morire a terra dinanzi agli occhi dei suoi bambini. Luca era con la fidanzata: lei è ferita, per fortuna in modo non grave, lui è stato travolto dal furgone, volato via dalla vita e dalla gioventù per la follia omicida di terroristi forse ancora più giovani di lui.

Che cosa allora significa essere giovani? Avere la feroce determinazione di chi conduce una guerra cieca e indiscriminata contro tutto ciò che odia, o avere la libera spensieratezza di chi vuole vivere qualche giornata da turista in una delle città più giovanili d’Europa?

Nel romanzo di Vila Matas, lo scrittore incontra a un certo punto, in aeroporto, un collega, oppresso al pensiero che ai tavolini dei bar non si parli di libri, ma solo di sport, o «dell’ultimo omicidio in serie o dell’ultimo capo militare arabo detronizzato». E che sui giornali ci siano solo «Wall Street, la Siria, la Libia, l’Iraq, la Grecia, il Giappone o la florida Cina». Ma cosa c’è, nelle nostre vite? Cosa ha diritto di esserci nella vita di un giovane che vive in Occidente, in Italia, che ad agosto va in vacanza a Barcellona, che passeggia sulle ramblas, che magari il giorno prima strabuzza gli occhi dinanzi alla Sagrada Familia di Gaudì e progetta di andare il giorno dopo su, al Parc Güell, che prenota una visita al Museo Picasso o che porta i bambini allo stadio dei mitici blaugrana? E come invece si riempiono le giornate di quegli altri giovani, quelli che trascorrono quelle stesse giornate di caldo e di mare in qualche luogo nascosto, preparando l’attentato, procurandosi armi, studiando percorsi, cospirando e odiando?

Lontano da giorni tragici come quelli che viviamo, siamo disposti a considerare la superficie delle nostre vite, o quella dei nostri ragazzi, non ricca e preziosa, ma vuota e banale: l’ombrellone, la partita di calcio, una settimana da turisti perché a chi non piace viaggiare? Poi quei giorni si avvicinano, piombano tra le nostre strade – a Parigi, a Madrid, ora a Barcellona –. Succede che altri giovani, che hanno in odio (hanno in odio, o segretamente invidiano?) tutta la libertà e il consumismo dell’Occidentale laico, secolarizzato e senza Dio, si mettano al volante di un camion e seminino il terrore tra la folla. D’improvviso la prospettiva cambia. D’improvviso capiamo: non siamo noi i nichilisti, non siamo noi a rendere tutto insignificante ed insensato, non è la nostra libertà senza scopo; è il loro scopo ad essere insensato, è il loro fondamentalismo a strappare alla vita le sue ore più amichevoli e più lievi.

Quando si è giovani è strano: così cantava Guccini nella canzone per un’amica. È strano che la sorte arrivi e ti prenda per mano. Per Bruno e Luca è stata la sorte, una fatalità terribile e assurda: se solo si fossero decisi per la passeggiata un’ora prima o un’ora dopo… Ma per gli assassini che hanno lanciato il furgone contro di loro, e contro tutte le altre persone che camminavamo nella luce piena e indivisa di un pomeriggio agostano, non è stata la sorte: è stata una volontà precisa, deliberata, assoluta. È stata un progetto, un disegno, una missione di morte.

A partire dall’Ottocento, essere giovani è divenuto una categoria e insieme una forza della politica. Se ne sono nutrite le nazioni e le guerre che hanno fatto la storia d’Europa, e del mondo. Oggi alimenta una grande parte del risentimento che solleva il fondamentalismo islamico contro l’Occidente, che venga dall’altra sponda del Mediterraneo o invece sia coltivata nelle periferie delle nostre città, fra giovani radicalizzati della seconda o terza generazione di immigrati musulmani. La democrazia, per costoro, non è una via per l’integrazione e la partecipazione alla vita pubblica. Essere giovani significa voler rovesciare l’ingiustizia del mondo, che offende il loro Dio e le loro stesse esistenze. Può darsi che non scelgano soltanto, ma siano scelti, per i luoghi e le persone con cui si trovano ad essere: il modo, infatti, in cui una scelta si intreccia con una vita è spesso imperscrutabile. Ma noi sappiamo che non hanno ragione. Ci sgomentano le loro grida, e ancor più ci sgomenta la loro età. Perché noi sappiamo che si ha tutto il diritto essere giovani e felici prendendosi qualche giorno di ferie, e che anzi non c’è gioventù che valga la pena di difendere più di questa. Chissà, forse negli spazi infrasottili dell’ironia con cui si scrivono le nostre vite più leggere, anche un dio più amabile e più umano amerà sorridere tra le note di qualche sciocca melodia

(Il Mattino, 19 agosto 2017)

Le inchieste ridimensionate dai tribunali

Hamilton

R. Hamilton, The Critic Laughs (1971)

Investito dalla Cassazione, il Tribunale del Riesame di Roma è tornato a decidere sulle misure di restrizione della libertà a carico di Alfredo Romeo, e questa volta ha mandato libero l’imprenditore napoletano. A marzo dentro, ad agosto fuori. Non c’è nulla che non sia andato secondo le procedure: il gip firma gli arresti, la difesa ricorre e il Tribunale conferma; la difesa ricorre ancora e la Cassazione rinvia al riesame, che questa volta accoglie la richiesta dei legali di Romeo. Tutto regolare, salvo che nel frattempo Romeo ha trascorso quasi sei mesi agli arresti: prima in carcere, poi, nell’ultimo mese e mezzo, ai domiciliari.

C’era, comunque, da aspettarselo: quando, nel luglio scorso, si era pronunciata la Cassazione, era saltato fuori che, a giudizio della Suprema Corte, il Tribunale aveva motivato in maniera largamente insoddisfacente la propria decisione. Ritornando sui propri passi, il Tribunale dà ragione al massimo vertice giurisdizionale. Ma nelle pieghe di quella sentenza si trovava anche affermato un giudizio non proprio lusinghiero sul modo in cui si era proceduto sin lì: la Cassazione non riusciva a capire dove diavolo fosse il «sistema Romeo», o il «metodo Romeo», di cui gli inquirenti erano andati a caccia, e avanzava dubbi anche sul modo in cui gli inquirenti avevano fatto ricorso, per le intercettazioni, ai famigerati trojan informatici: supponendo legami con la criminalità organizzata al solo scopo di vedersi autorizzati gli strumenti investigativi più invasivi. Infine, provava a dare un senso preciso alla previsione del carcere come «extrema ratio», così come richiesto dalla legge, e come invece disinvoltamente troppo spesso ci si dimentica.

Ora la situazione è questa, che l’ipotesi accusatoria da cui tutto era partito, con gli appalti all’ospedale Cardarelli in odore di camorra (secondo la Procura di Napoli), di colpo si rivela costruita male, grazie a qualche forzatura di troppo (secondo la Suprema Corte), mentre sull’altro versante delle indagini, che puntava su Roma e sulla centrale acquisti della pubblica amministrazione, la Consip, sono venute fuori addirittura manipolazioni di prove da parte del capitano dei carabinieri Giampaolo Scafarto, insieme a fughe di notizie a ripetizione che forse hanno intralciato le indagini ma che di sicuro hanno costruito una enorme cassa di risonanza mediatica per il lavoro della magistratura inquirente.

Naturalmente, non siamo dinanzi a sentenze definitive e la vicenda non è chiusa. L’accusa farà la sua parte, così come cerca di farlo la difesa (possibilmente, su un piede di parità). Ma se uno riavvolge il film di questi mesi si accorge di quale enorme distorsione si sia prodotta. E si produca ogni volta. Con indagini, arresti e intercettazioni il quadro accusatorio si fa subito chiarissimo, lampante, praticamente certo, mentre le controdeduzioni della difesa devono aspettare mesi e mesi perché riescano a farsi strada prima nei tribunali e poi sui giornali. Con imputazioni e incriminazioni accade l’esatto opposto: prima le accuse arrivano sui giornali; poi, in tribunale, si vedrà (se si vedrà).

Uno potrebbe dire: come però la carcerazione preventiva non significava colpevolezza, così il ritorno alla libertà non vuol dire che l’accusa sia stata smontata. Il che è vero, ma è vero pure che di mezzo ci sono messi in carcere e ai domiciliari, e c’è una campagna di stampa che di fatto trasforma indagati e imputati in colpevoli ben prima di qualunque verdetto. E tanti saluti ai diritti e alle garanzie.

In questa inchiesta, poi, qualcosa non è stato chiaro persino nel metodo. Non dico solo delle gravissime alterazioni del contenuto delle intercettazioni, con cui si è cercato di mettere nei guai il padre di Matteo Renzi, Tiziano, ma dico proprio del modo in cui l’indagine ha potuto estendersi. Invece di andare in profondità, è sembrato fin da subito che si volesse solo andare in lungo e in largo. In giro, insomma, a tirar dentro di tutto e di più: una volta è la camorra, un’altra sono le fughe di notizie, un’altra ancora sono opportuni “aggiustamenti” delle carte. Una volta è un’ipotesi accusatoria, un’altra sono i trojan, un’altra ancora sono intercettazioni a strascico. Inchieste dal raggio sempre più grande – dal Cardarelli a Consip, da Napoli a Roma – purtroppo affette da un’inesorabile proporzione inversa: più allarghi e meno vai a fondo; più gonfi, enfatizzi e ingrandisci e meno il tutto si fa distinto e regge alla prova del processo.

Che però è ancora di là da venire, e chissà se e quando arriverà. Quel che però si capisce, è che non vi arriverà come era stato annunciato, ma solo dopo una robusta tosatura. Come quella a cui gli antichi prìncipi sottoponevano le monete, riducendone progressivamente il contenuto aureo, così va con l’ipotesi di processo che continua a circolare sui giornali, che ad ogni nuova notizia vale, lentamente ma inesorabilmente, ogni giorno di meno.

(Il Mattino, 17 agosto 2017)