“O si ripristinano le regole, o in qualità di presidente nazionale interesserò io gli organismi di garanzia a tutela del partito nazionale”. Dunque, secondo il Presidente nazionale del partito democratico, Matteo Orfini, nel pd napoletano le regole non ci sono, o non vengono osservate. Se fino a ieri era forse ancora possibile considerare regolare l’andamento a singhiozzo del congresso provinciale – mezzo celebrato mezzo no, una domenica sì e l’altra pure – oggi lo è molto meno, visto che regolare non appare nemmeno al presidente del partito. Purtroppo non è una novità: tra primarie annullate, primarie contestate , ricorsi al tribunale e commissariamenti di federazione, va così, ormai, da un buon numero di anni. Mancava la nascita del gemello diverso, e ora c’è pure quello, con Nicola Oddati che ieri ha tenuto a battesimo “Passione democratica”. Sigla: Pd. Che è come dire che del neo-segretario Costa, uscito vincitore dalla conta dimezzata delle settimane scorse, non c’è da parte di Oddati (e dei Cozzolino, Impegno, Marciano, Buonavitacola che lo hanno sostenuto) alcun riconoscimento. Ci sono invece le carte bollate, cioè la certificazione che il Pd partenopeo, allo stato, può essere definito in molti modi, ma non come una comunità politica. Si vedrà nei prossimi giorni se le parole forti di Orfini approderanno all’unico esito possibile in queste condizioni, cioè all’ennesimo commissariamento (sempre che non arrivi prima un giudice a decidere per tutti), ma una cosa è certa: un partito precipitato all’11% che si divive in due, come una mela, vede le sue chance di ripartire ridotte al lumicino.
Del resto, fare della materia del congresso la sua conformità alle regole è confessare implicitamente che altra materia, allo stato, non v’è.
Eppure ci sarebbe, e come se ci sarebbe. Nel Parlamento, il Pd si è fatto interprete delle richieste formulate dall’Anci di venire incontro ai comuni in predissesto. Tra gli emendamenti presentati a firma democrat ve ne sono alcuni che consentirebbero a De Magistris di tirare il fiato: di avere ulteriore accesso al fondo di rotazione per coprire debiti fuori bilancio, di allungare i termini di rateizzazione dei debiti erariali e previdenziali del Comune e delle sue partecipate, di utilizzare ulteriori anticipazioni di liquidità. Orbene, si può capire lo spirito diciamo pure istituzionale con cui l’Anci si è mossa, al fianco dei comuni sull’orlo del baratro (tra i quali c’è Napoli); un po’ meno si capisce come mai sia il Pd a farsene zelante interprete, spingendosi sino al punto di firmare emendamenti calzati su misura sui conti di Palazzo San Giacomo. Ancor meno si capisce l’annuncio del governo di voler intervenire a favore degli enti locali in predissesto: se questo significherà, per De Magistris, vedersi riconosciuta la possibilità di presentare un piano di equilibrio sostitutivo di quello sonoramente bocciato non da un ragioniere di passaggio ma dalla Corte dei Conti (e per il sindaco sarebbe la salvezza, almeno sul piano formale), allora l’incomprensibilità sarà totale. Il Pd controlla infatti tutte le caselle: guida l’Anci, guida il governo, ha i suoi parlamentari che presentano gli emendamenti. L’unica casella che non compare in questo surreale gioco di sponda è quella napoletana. In consiglio comunale la occupa Valeria Valente, che però conduce, praticamente in solitaria, la sua battaglia di segno diametralmente opposto sui conti disastrati del Comune, ma la sua voce evidentemente non arriva a Roma. Cioè non arriva la voce del Pd napoletano, che invece di fare su questa roba un congresso, e prendere una chiara posizione politica, si attorciglia su se stesso, si dilania tra correnti, si consuma in diatribe senza fine.
Di cui, diciamo la verità, nulla o quasi arriva all’opinione pubblica. Che certo non vuol sapere come finirà la conta interna e chi deciderà le candidature al Parlamento (la vera posta in gioco nella estenuante lotta di potere in corso), ma qual è il profilo politico del partito democratico a Napoli. E conseguentemente qual è la posizione del Pd su De Magistris, e se e a quali condizioni dargli una mano: per salvare lui o per salvare la città? Per cambiarne gli indirizzi e condizionarne le politiche o per contrattare un po’ di sottogoverno?
Ma niente: l’oggetto del contendere sono le regole, le tessere, le date, le poltrone. E intanto Roma decide su Napoli senza alcuna reale interlocuzione con gli attuali dirigenti del Pd napoletano. Un giudizio più spietato sulla loro rilevanza non si potrebbe dare.
(Il Mattino, 24 novembre 2017)