La partita che si giocherà sabato mattina, nell’interpretazione che ne offre il Sindaco di Napoli, vede scendere in piazza «la forza e la potenza del popolo napoletano» contro una «legalità formale violenta e ingiusta», che impone ai cittadini e a chi li amministra di pagare per un «debito illegale, ingiusto, odioso». Un debito, sostiene Luigi De Magistris, che non grava sulla Città (che il primo cittadino, conformemente alla sua roboante retorica, scrive sempre con la maiuscola) per colpa dei napoletani o di chi li amministra, ma «per le azioni ed omissioni di chi ha devastato nei decenni passati la Città».
Le cose non stanno così. Le osservazioni della Corte dei Conti, contro le quali il Sindaco chiama a raccolta i napoletani, riguardano debiti non messi a bilancio dal Comune di Napoli, ma in questo monte di debiti non vi sono solo retaggi delle passate amministrazioni, ma anche debiti accumulati dalla giunta De Magistris. Sui 265 milioni di debiti fuori bilancio, il famoso Cr8, che arriva dagli anni Ottanta, grava per 85 milioni circa. Una cifra consistente, ma è consistente anche la somma di 48 milioni di euro, che risalgono invece al 2015, quando la rivoluzione arancione era già in corso.
I numeri hanno la testa dura, si dice. Ce l’hanno pure i sindaci, bisogna aggiungere. De Magistris ha scelto consapevolmente di andare a infrangersi contro la giustizia contabile. Ha scelto di non mettere a bilancio una massa debitoria ben più ampia di quella riconducibile a passate responsabilità. Ha scelto di non indicare a bilancio tutte le poste, vecchie e nuove, dovute dal Comune di Napoli, aggravando i conti degli oneri finanziari che han fatto ulteriormente lievitare quella somma. Soprattutto, ha scelto di non rispondere, ma di accusare.
Il tema del debito si presta, infatti, perché collima alla perfezione non con una cultura istituzionale, drammaticamente assente, ma con una retorica che De Magistris conosce e pratica con grandissima disinvoltura. Chi è l’indebitato, soprattutto in questi tempi di crisi? Chiunque, trovatosi in difficoltà, sia finito nelle grinfie di speculatori, banchieri, creditori senza scrupoli che lo strozzano e lo affamano. Su un piano generale, è il neoliberismo, è il capitalismo finanziarizzato che stritola tutti i Sud del Mondo. Quindi anche Napoli. La cornice ideologica è già lì, insomma: si tratta solo di inserirvi la città partenopea. Se poi si riesce con grande spudoratezza ad inscrivere tutto il debito in una storia di peccati originali commessi da altri, allora, oltre all’ingiustizia e all’odiosità, ecco che può comparire anche il terzo aggettivo demagistrisiano: quel debito oltre a essere ingiusto e odioso è pure illegale. Nientemeno!
Le cose non stanno così: l’ho detto poc’anzi. Napoli non è la vittima di nessun «sistema». Non più di quanto lo siano Roma o Torino. Più semplicemente, dopo sette anni sette a Palazzo San Giacomo, De Magistris: è lui il sistema. E dunque dovrebbe venire anche per lui il «redde rationem»: di quanti altri mandati altrimenti avrebbe bisogno De Magistris per prendersi intera la responsabilità dell’azione amministrativa fin qui condotta?
Se dunque sabato c’è un’altra piazza, non è perché si voglia gridare «sì al debito» contro i sostenitori del Sindaco che dicono no. Non sono questi i termini della contrapposizione che va in scena sabato. Né è il Sindaco che fa eroicamente da scudo alla città contro i poteri forti, ma è casomai lui a farsi furbescamente scudo della città per parare le critiche al suo operato. E lo fa con slancio e passione, senza nulla tralasciare al caso: chiamando a raccolta gli antagonisti dei centri sociali, ma anche tutto il sistema di potere che negli anni si è consolidato attorno alla gestione della cosa pubblica e delle aziende partecipate.
Ma i trasporti pubblici: c’entra qualcosa l’ingiustizia del debito? E la raccolta differenziata, lontanissima dagli obiettivi dichiarati? E il degrado urbano, e l’anarchia del lungomare liberato? Se c’è un’altra piazza, forse è perché ci vuole pure un luogo per parlare di tutto questo. Per togliere qualche alibi e sfrondare almeno un po’ la retorica che gronda e rumoreggia intorno al municipio napoletano.
(Il Mattino, 12 aprile 2018)