Rebus governo, leader più distanti

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Prendere le misure alla crisi? Difficile oggi come quaranta giorni fa, all’indomani del terremoto elettorale che ha consegnato al Movimento Cinque Stelle la palma di primo partito d’Italia, e al centrodestra il primato come coalizione, con il sorpasso della Lega su Forza Italia. Il Presidente della Repubblica si è riservato di prendere una decisione, che probabilmente cadrà a metà della prossima settimana. Ma finora non ha ricevuto dalle forze politiche nessuna indicazione che gli consenta di dare una soluzione al Paese. Lo stallo continua. Per un Di Maio che lamenta l’ostinazione di Salvini a proporre un centrodestra unito («una strada non percorribile che può fare anche danno al Paese»), c’è un Salvini che invita il capo dei Cinque Stelle a «sforzarsi a fare qualcosa di più», e cioè a rinunciare al veto su Forza Italia. Per un Berlusconi che, all’uscita delle consultazioni, accusa i grillini di ignorare l’ABC della democrazia, c’è un Di Battista che tratta irridente Salvini come «il Dudù di Berlusconi».  La crisi siriana ha poi reso, se possibile, il quadro ancora più incerto, perché ha divaricato le posizioni di Lega e Cinque Stelle, e rilanciato, almeno a titolo di ipotesi, la possibilità che il Pd torni in campo. È uno dei regoli, con cui è possibile misurare le distanze fra le forze politiche. Accanto al regolo internazionale, c’è il regolo elettorale, il regolo del gioco politico, il regolo temporale, e infine il regolo del Quirinale: quello che proverà ad usare Mattarella per fare uscire le forze politiche dallo stallo in cui si sono cacciate.

Il regolo internazionale

È la novità delle ultime ore. Al termine delle consultazioni, il Capo dello Stato aveva espresso preoccupazione per la possibile escalation in Siria. I fatti gli hanno dato ragione: il bombardamento voluto da Trump, con l’appoggio di Francia e Inghilterra, ha posto sul tavolo il tema della politica estera, che né in campagna elettorale né nelle settimane successive ha occupato l’agenda politica nazionale. L’Italia non ha dovuto autorizzare l’uso delle basi militari, e questo ha reso meno evidente il problema rappresentato dall’assenza di un governo pienamente legittimato dal voto, ma le parole di Salvini, che ha giudicato l’attacco voluto da Trump «sbagliato, pericolosissimo, pazzesco», hanno scavato un solco profondo con Forza Italia. Era meglio tacere, gli ha mandato a dire Berlusconi. Che nella lettera al «Corriere della Sera» ha tenuto una posizione più equilibrata: confermando anzitutto la collocazione atlantica del nostro Paese, per rievocare poi lo spirito di Pratica di Mare, l’accordo fra Europa Usa e Russia con il quale si riconosceva a Putin il ruolo di partner strategico nella costruzione dell’ordine internazionale. È chiara la volontà di Berlusconi di mostrarsi come l’unico, nell’ambito del centrodestra, in grado di dare assicurazioni agli alleati occidentali sulla politica estera del nostro Paese. Un argomento al quale il Colle non può rimanere insensibile.

Anche Di Maio ha fatto (insolita) professione di atlantismo, mentre chiedeva l’intervento delle diplomazie, e così ha finito col ritrovarsi vicino al Pd. Che infatti ha mostrato di apprezzare la prudenza con cui il capo del Movimento si è mosso sulla crisi siriana. Misurata col regolo internazionale, insomma, l’ipotesi di un governo giallo-verde, fra Cinque Stelle e Lega, non appare più a portata di mano.

Il regolo elettorale.

I numeri, però, contano. E sostengono ancora gli argomenti con cui le forze politiche continuano a confrontarsi. I grillini sono il primo partito. Il centrodestra è la prima coalizione. Di Maio non perde occasione per ricordare i suoi 11 milioni di voti; Salvini, a sua volta, conta i parlamentari del centrodestra e ribadisce che i suoi sono di più. Per arrivare ad un accordo bisogna che i partiti ragionino tenendo conto del nuovo ambiente proporzionale in cui sono chiamati a misurarsi; ma la legge elettorale ha tuttavia richiesto che si mantenessero, su un terzo dei seggi assegnati, le coalizioni: come si fa allora a chiedere a Salvini di rinunciarvi? Lo stallo è dentro una rappresentanza parlamentare sghemba, che ha portato in Parlamento liste uniche e liste collegate: le ragioni degli uni non sono quelle degli altri. Anche l’idea di fare un governo solo per cambiare la legge elettorale si scontra col fatto che gli interessi di una forza a un eventuale premio di lista sono opposti a quelli dell’altra, interessata invece a un premio di coalizione.

Misurato col solo regolo elettorale, lo stallo rischia di ripetersi anche in caso di elezioni anticipate. Tutti fanno ovviamente mostra di non temerle, di considerarle più vicine o più lontane ma comunque di non averne paura. Ma nessuno ha in mano sondaggi che assegnerebbero a questa o a quella formazione politica la maggioranza. Per questo, Mattarella sa che nuove elezioni non sono affatto la via d’uscita dall’impasse.

Il regolo temporale.

E allora come? Sono trascorsi ormai 40 giorni. Tempo sufficiente a Gesù per uscire dal deserto, non ancora ai partiti per trovare il bandolo della matassa. Il fattore tempo ha finora regolato il confronto fra le forze politiche. Prima un giro di consultazione, poi un altro. Nulla di fatto. La crisi internazionale ha sostenuto, nelle ultime ore, la convinzione che non si possa fare tardi, ma non c’è una vera emergenza alle porte, che costringa per esempio i partiti a dire di sì a un esecutivo formato da una personalità autorevole, super partes, indicata dal Quirinale. Ci sono però un paio di scadenze elettorali: il voto in Molise, domenica prossima; il voto in Friuli, quella dopo. È opinione diffusa che, superati questi appuntamenti, le forze politiche potranno essere più malleabili. In particolare, molti sono persuasi che se la Lega dovesse fare il pieno in Friuli, avrebbe modo di ridurre Forza Italia a più miti consigli. E anche Di Maio avrebbe forse meno da temere i mugugni interni per le prove di moderatismo che sta dando, cercando di tenersi aperte le due strade del «contratto alla tedesca»: sia l’accordo con un centrodestra senza Forza Italia, sia un accordo con un Pd non più derenzizzato. Se si usasse dunque il regolo temporale, bisognerebbe misurare le determinazioni del Presidente della Repubblica, sul pre-incarico o sul mandato esplorativo, in base al numero di giorni necessari, grazie al loro espletamento, a scavallare quei due appuntamenti col voto regionale. (L’altro, l’assemblea nazionale del Pd, che doveva tenersi il 21 aprile, è stato saggiamente rinviato).

Il regolo del gioco politico.

Passi pure del tempo. Ma per fare cosa? Che cosa si propongono Salvini, Di Maio, Berlusconi (e, eventualmente, il Pd)? Non la stessa cosa, evidentemente. Altrimenti un governo l’avremmo già. Di Maio vuole un governo pentastellato da lui presieduto. Che cosa è disposto a fare per raggiungere questo obiettivo? Non un governo col Cavaliere. Non può: la base (ma anche Grillo) non glielo perdonerebbe. Di Maio deve formare un governo e poter dire: il Pd lo ha tenuto in vita, il Cavaliere; noi lo abbiamo fatto fuori. Se può dire questo ai suoi elettori, simpatizzanti e militanti, tutto il resto, sul programma o sui ministri, può passare.

Nonostante si presenti unito, il centrodestra non ha invece un unico obiettivo. Perché Berlusconi vuole, lo ha scritto al «Corriere», «non un governo qualsiasi, con una qualsiasi maggioranza parlamentare, ma un governo autorevole sul piano interno e internazionale». L’autorevolezza che non riconosce ai Cinque Stelle è per il leader di Forza Italia criterio per formare un governo. Vale a dire: meglio, molto meglio un governo con il Pd che con i grillini. Salvini pensa l’opposto: tutto vuole meno che il Pd. Non vuole nemmeno «governissimi o governoni», cioè soluzioni avallate dal Quirinale che però non trovino fondamento in un accordo politico. Dunque continua a cercare un’intesa con Di Maio, e probabilmente pensa o di convincere Forza Italia a rimanere fuori (magari dopo il voto in Friuli), o che i 5S potrebbero far partire un governo col centrodestra, che potrebbe però perdere per strada il pezzo dei fedelissimi di Silvio. Un po’ come è accaduto nella scorsa legislatura. Col regolo del gioco politico, i prossimi giorni misureranno le mosse e le contromosse per forzare una soluzione o l’altra. Che se poi il gioco non riuscisse, il Pd potrebbe a quel punto (e solo a quel punto), provare a rientrare nella partita, aprendo un dialogo con i Cinque Stelle fino a qualche settimana fa impensabile.

Il regolo del Quirinale.

Il Capo dello Stato ha però per le mani un unico strumento di misura: l’incarico. Improbabile che sia pieno. Il centrodestra ha fatto, all’unisono, il nome di Salvini. Ma il capo della Lega ha chiarito lui stesso che non intende cercare i voti in Parlamento: accetterebbe un incarico solo avendo in tasca l’accordo. Poiché l’accordo non c’è, è ragionevole pensare che il Quirinale si orienterà per una soluzione diversa. Il mandato esplorativo, affidato per esempio alla Presidente del Senato, Casellati, rischierebbe di restituire la stessa fotografia già scattata nel corso delle consultazioni. Tuttavia, se Mattarella si convince che il tempo gioca a favore di una soluzione, allora può effettivamente imboccare questa strada; se invece pensa che rischierebbe di provocare ulteriori irrigidimenti, e per giunta di rendere più difficile la posizione del Paese sul piano internazionale, allora potrebbe osare un po’ di più e giocare la carta del pre-incarico, con la quale dare più chiare indicazioni sulla volontà del Colle. I nomi che circolano non sono molti: Giorgetti, il volto raziocinante e mediatore della Lega; oppure di nuovo la Casellati, con il diverso mandato di formare un esecutivo istituzionale, con tutti (o quasi) dentro. Oppure Fico, per verificare l’altra strada, quella di un governo 5S-Pd. O infine una personalità lontana dai partiti, ma di grande autorevolezza, a cui fosse difficile dire pregiudizialmente di no. Per nessuna di queste ipotesi Mattarella dispone purtroppo di certezze: misurata col regolo del Quirinale la crisi politica presenta ancora margini di indeterminatezza troppo ampi.

(Il Mattino, 16 aprile 2018)

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