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Agamben

L’intervista di Agamben apparsa ieri sul Manifesto è molto interessante. Segnalo un paio di cose.

La prima. Agamben sostiene che la politica è, oggi, governamentalità. Si pone cioè il problema del governo, della mediazione, della gestione razionale di uomini e cose, con conseguente primato del diritto e dell’economia su di essa. E conseguente deperimento della tradizione democratica, che riposa sul principio che "la politica è possibile se vi è da qualche parte un conflitto che non può essere mediato e governato". Come la democrazia riposi su questo principio, non è chiaro. Agamben dice che "si ha democrazia quando il sistema giuridico-politico si mantiene in relazione dialettica con un’esteriorità, che non può essere semplicemente esclusa". Tuttavia io capirei bene se dicesse "si ha politica", ma sarei più esigente su ciò che si deve intendere per "democrazia". L’esteriorità del potere costituente rispetto al potere costituito non mi pare di per sé sinonimo di democrazia. Che se poi qualcuno obiettasse ad Agamben: ma l’esteriorità c’è, il conflitto non mediabile c’è, è il terrorismo, la risposta sarebbe, a quel che leggo: no, il terrorismo è piuttosto la negazione dell’esteriorità e la dislocazione del conflitto (però dove? All’esterno… Voglio dire: i concetti formali con i quali Agamben ha definito la democrazia qui evidentemente non bastano).

La seconda. La seconda è solo la citazione della domanda che il giornale rivolge al filosofo: La sinistra, politicamente rappresentata di fatto dal solo Bertinotti, come può rispondere sul piano strategico a quello che lei chiama il problema della governamentalità? A quali riserve culturali ‘buone’ dovrebbe attingere?
Ora, leggetevi la risposta e ditemi voi quanto sia pertinente.

(Altre cose segnalerei: la risposta finale sulla Chiesa cattolica, ad esempio, che non mi riesce di condividere in nessun modo, ma anche l’idea – centrale, in Agamben – che oggi si applichino ai cittadini gli stessi standard di sicurezza un tempo applicati ai criminali recidivi. A me pare una semplificazione veramente eccessiva, se con ciò si vuole intendere che la mia condizione esistenziale non è nello spazio pubblico messa meglio di quanto lo fosse un tempo quella del criminale recidivo).

Viva il prefetto Mori!

Si stava meglio quando si stava peggio? Beh, forse non è proprio così, però Giorgio Agamben ritiene che “se uno storico confrontasse i dispositivi di legge esistenti durante il Fascismo e quelli in vigore oggi, ho paura che dovrebbe concludere a sfavore del presente”.
Se non si tratta di una mera provocazione, Giorgio Agamben immagina che lo storico in questione – ma forse, in fondo, lui stesso – rimpiangerebbe di non essere vissuto sotto il Fascismo…
Ad ogni modo, ci sono due cose che non mi sono chiare nell’intervista. La prima riguarda la tesi secondo cui certe misure di sicurezza non servono per prevenire i delitti, casomai per impedire che vengano ripetuti. Servono, più precisamente, per acchiappare chi ha già commesso un delitto, grazie a tutto ciò di cui si è oggi capaci per identificare e tenere sotto controllo le persone. Posto che sia così, bisognerebbe forse adottare misure che prevengano la stessa possibilità di commettere un delitto? Ma io non mi sentirei molto rassicurato da un potere che, come i precog di Dick e Spielberg, fosse in grado di riportarmi all’ovile ancor prima che io commetta un delitto…
La seconda cosa riguarda la ‘quantità’ di libertà di cui disporremmo oggi. I nostri movimenti fisici e virtuali sono come mai prima d’ora rintracciabili: grazie a telecamere, connessioni, schede, carte di credito, cellulari, ecc. ecc. Questo controllo è però potenziale, nel senso che non c’è nessuno che sverni ad esempio 24 su 24 dietro l’occhio di una telecamera. Solo nel caso che accada un delitto nel luogo sorvegliato dalla telecamera, il filmato può essere messo a disposizione della magistratura (secondo procedure di legge – che non è un particolare irrilevante). Se io ho garanzie che in altri casi nessuna autorità giudiziaria può servirsi del filmato, debbo ritenere di essere sottoposto a un controllo asfissiante? Non mi pare. Con questo non voglio dire che le telecamere mi fanno piacere, ma che in simili faccende non conta solo il ‘significato’ di una certa misura, ma la sua portata effettiva. Agamben cita una legge non più applicata, in materia di ospitalità: l’obbligo di denunciare la presenza nella propria casa di un ospite. E gli pare più rilevante il fatto che quella legge sia sopravvissuta, che non il fatto che non sia più applicata. A me pare invece che sia decisamente più rilevante il contrario: che non venga applicata, benché sia sopravvissuta. (Dopodiché abrogratela, per favore).
(Io poi non sono un esperto di diritto comparato, ma credo che vi siano al mondo un buon numero di paesi, la cui patina di democrazia formale, che tanto pare insufficiente ad Agamben, è ancor più ridotta, ma che in compenso hanno anche un bel numero di leggi illiberali scrupolosamente applicate)