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Un primo passo verso la normalità

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De Magistris a Palazzo Chigi. In una storia universale della distensione, dopo gli storici incontri fra un presidente americano e un segretario generale del partito comunista sovietico – come quello fra Eisenhower e Chruŝčëv, nel 1959, o quello fra Nixon e Breznev, nel 1972, o infine quello di Reykjavik fra Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov, nel 1986, che mise fine alla guerra fredda – compito dello storico sarà quello di annoverare la visita a Palazzo Chigi del sindaco di Napoli. Nell’anno del Signore 2016, il giorno ventinove settembre, dopo pranzo, con un tiepido sole. L’uomo che aveva derenzizzato la città, il rivoluzionario zapatista (in salsa partenopea), che mai e poi mai avrebbe accettato di stringere la mano del commissario straordinario di Bagnoli, Salvo Nastasi, si è recato alfine, di buon passo, nella Capitale, e dopo essersi intrattenuto per una mezzoretta con il sottosegretario Claudio De Vincenti, ha partecipato alla riunione di lavoro insieme con l’intera delegazione cittadina che lo accompagnava. A quel tavolo Renzi non c’era, ma Salvo Nastasi sì.

Ed è come se Aureliano Buendia, il protagonista di «Cent’anni di solitudine» di Gabriel Garcia Marquez, non si fosse mai trovato dinanzi a un plotone d’esecuzione, o come se, molti anni dopo, avesse infine accettato riconoscimenti del governo.

Ma qui non c’entra la letteratura fantastica, c’entra Napoli, e la necessità non di capitolare, ma almeno di ritrovarsi dentro un corretto percorso istituzionale che non prevede, a norma del testo unico sugli enti locali, la guerra guerreggiata fra i comuni e il governo. Sullo scontro con Palazzo Chigi De Magistris ci ha fatto su una poderosa campagna elettorale, vincendola. Ha indossato i panni del sindaco di strada, ha fatto sventolare altissima la bandiera dell’opposizione all’Esecutivo, ben oltre la normale dialettica politica. Tutto è durato fino a due settimane fa, quando Renzi venne a Napoli, accompagnato proprio da Nastasi. De Magistris dichiarò in quella circostanza che «tenuto conto della presenza al tavolo in delegazione del Commissario su Bagnoli», gli era impossibile accettare l’incontro col Presidente del Consiglio. Ieri, assente Renzi, è proprio il commissario Nastasi che gli è toccato incontrare, per parlare delle «principali problematiche della città, con particolare riferimento al percorso che dovrà condurre all’elaborazione del Patto per Napoli e alla questione del risanamento e del rilancio dell’area di Bagnoli».

Così recita la nota di Palazzo Chigi, ed è per il premier una soddisfazione non piccola. De Magistris ha riconosciuto la necessità che si procedesse con le bonifiche dell’area di Bagnoli. Da sindaco della città di Napoli, ha ovviamente tutto il diritto, e anzi il dovere, di chiedere maggiore condivisione sulla destinazione urbana di quegli spazi e la loro riqualificazione, ma solo ieri ha finalmente convenuto che tale diritto va esercitato nel dialogo fra le istituzioni, e non nello scontro pregiudiziale.

Forse ha contato, in questa fase, una maggiore disponibilità di Renzi, che deve presidiare il fronte del referendum sulla riforma costituzionale. Forse De Magistris ha sentito il fiato sul collo del governatore De Luca, che da Palazzo Santa Lucia rischiava di tagliarlo definitivamente fuori dai più importanti flussi finanziari che dovranno riguardare la città. Forse i quattro gol del Napoli in Champions League lo hanno comprensibilmente messo di buonumore. Ma che sia per l’uno o per l’altro motivo, o semplicemente perché a un sindaco tocca anzitutto amministrare la città, e non solo tuonare contro «il fascismo del terzo millennio» o innamorarsi del «pensiero disallineato», sta di fatto che il sindaco ha messo da parte la contrarietà di principio alla gestione commissariale – finora alimentata da una tenace politica di ricorsi, volta a bloccare ogni iniziativa di risanamento – e ha scelto di ristabilire un clima di collaborazione.

La città liberata che riempie la retorica del Sindaco può dunque tornare a essere la città governata. Forse. Alle confuse pagine della democrazia popolare possono tornare ad affiancarsi quelle scritte con un po’ di linearità in più dalla buona amministrazione. Forse. E se la piccola mortificazione dell’orgoglio napoletano del Sindaco varrà un soprassalto di serietà nell’esercizio delle funzioni, la visita a Palazzo Chigi, il giorno ventinove settembre dell’anno duemilasedici non sarà trascorsa invano. Forse.

(Il Mattino 3o settembre 2016)

Sul crocevia del futuro ora  è vietato fermarsi

ImmagineL’arrivo a Napoli del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, in occasione della riunione della cabina di regia su Bagnoli, non ha il significato di una visita soltanto rituale. L’opera di bonifica e rigenerazione urbana dell’area riparte infatti per impulso del governo. Dalla nomina del Commissario Nastasi ad oggi sono stati fatti passi avanti: i primi, dopo un periodo di immobilismo e inazione lungo un quarto di secolo. Bisognerà naturalmente che l’opinione pubblica segua anche i prossimi passi, perché nulla è scontato e tutto può fermarsi ancora una volta, ma il senso della giornata di oggi è chiaro, e Renzi ne ha parlato anche nella direzione del partito democratico di lunedì: sbloccare l’Italia, far ripartire le opere pubbliche, e – aggiungiamo pure – restituire un po’ di fiducia nella capacità della politica di misurarsi con i problemi reali del Paese.

Questa sfida assume una rilevanza ancora maggiore nel Mezzogiorno, dove c’è da recuperare un divario drammatico con il resto del Paese, divario che negli ultimi anni, anziché ridursi, è venuto allargandosi. E prende un significato ancora più determinato a Bagnoli: perché si tratta di un sito dalle straordinarie potenzialità, che può davvero rilanciare non solo l’immagine della città ma anche la sua vocazione turistica e culturale, e perché i venti e passa anni di inconcludenza hanno finito con il costituire un giudizio senza appello sulla classe dirigente partenopea, incapace di immaginare un nuovo futuro per Napoli oltre quella fabbrica e la sua storia, oltre la prima Repubblica e gli involutissimi conati della Seconda, e, in definitiva, finalmente ben oltre il Novecento.

L’enorme complesso industriale dell’Italsider non c’è più. Ma oltre la dismissione finora non c’è stato nulla.

Matteo Renzi ha l’intelligenza e anche l’astuzia di appropriarsi di quei luoghi che si trovano al crocevia fra il passato ed il futuro. Spazi vuoti che nessuno ha saputo riempire. Sono luoghi che gli consentono di ribadire una differenza, una distanza, una discontinuità: la cifra della sua avventura politica, dalla rottamazione in poi. Luoghi che esemplificano in maniera evidente il mantra renziano: così è stato in passato, adesso però non è più così. Ma per la città, non solo per Renzi, questa è davvero una notizia e una scommessa: vuol dire che anche per il governo, finalmente, Napoli può fare la differenza.

Al presidente del Consiglio, com’è giusto che sia, non si fanno sconti: tutto quello che è retorica, narrazione, comunicazione deve essere sottoposto al vaglio della critica e misurato sui fatti. Anche perché Renzi è bravo: sa effettivamente come lanciare un messaggio, come far passare un’idea. Ma anche da questo punto di vista non è affatto trascurabile che nella retorica del Presidente del Consiglio Napoli, e per estensione il Sud, non entrino più solo come le occasioni per esercitare il malcontento verso la politica, il malaffare, il clientelismo, la corruzione o la camorra. Vi entrano ora come il terreno sul quale mettersi alla prova: per indicare degli obiettivi e dimostrare di saperli (o non saperli) raggiungere. Si vedrà.

Finora, la storia di Bagnoli è stata una storia di fallimenti, più o meno clamorosi. E più o meno costosi. A questa lunga scia da ultimo ha dato il suo contributo l’attuale sindaco De Magistris. Che ha scelto, dopo aver sostanzialmente portato la società di gestione al fallimento, di trasformare Bagnoli in un terreno di scontro ideologico con il Presidente del Consiglio. Scontro frontale e irriducibile, che trasforma in simboli tutto ciò che tocca, e che così facendo rifiuta di fatto l’unico terreno sul quale ci si attende da un’amministrazione che operi: quello concreto, realistico ed effettivo della trasformazione urbana della città. Anche l’idea che ci sia qui un governo nazionale che scavalca bellamente i poteri locali funziona forse ai fini di una certa retorica democraticistica radicale, ma mostra ormai la corda, perché l’unica cosa che c’è da scavalcare è l’inazione di questi anni. Nella città più giovane d’Italia, c’è un’intera generazione che non ha mai visto Bagnoli com’era prima – prima di essere abbandonata, prima che i poteri pubblici smarrissero il filo nei meandri di un’endemica litigiosità: a questa generazione bisognerebbe solo spiegare ora che cosa se ne vuol fare. Cosa si vuole fare perché Bagnoli torni ad essere un luogo vivo, capace di generare lavoro, innovazione, ricchezza.

Tutto il resto sono chiacchiere. Non capire che si tratta di reinventare Napoli e il suo futuro, significa mancare l’unica rivoluzione che vale la pena di fare.

(Il Mattino, 6 aprile 2016)

Contro il declino il dovere di fare squadra

bagnoli-2Sir Winston Chruchill, uno che se ne intendeva, soleva dire piuttosto laconicamente:  «per quanto sia bella la strategia, dovresti ogni tanto guardare ai risultati». Vincenzo De Luca deve aver dato uno sguardo a Bagnoli, e pensato che nella strategia seguita fin qui qualcosa non ha funzionato. In sintesi – voglio dire: nella maniera in cui De Luca usa fare la sintesi – la legge su Bagnoli, la legge voluta da Renzi, è una «legge demenziale».

Dalle parole che De Luca ha usato – e che in linguaggio diplomatico si direbbero «molto franche» – si possono capire tuttavia due cose. La prima: De Luca non giocherà all’uno contro tutti e neppure farà come il sindaco De Magistris, che manda le carte bollate per gridare al torto subito dai poteri forti (poteri legittimi, va da sé, anche se De Magistris non lo dice). La seconda, più importante, è però che il governatore vuole andare dritto al risultato e magari ottenerlo pure. Il presidente della Regione ha appena iniziato la sua esperienza a Palazzo Santa Lucia, dove è arrivato da «uomo del fare», che non ne vuole sapere di chiacchiere e riunioni, ritardi e rinvii. Se infatti c’è una cosa che torna sempre nei primi interventi pubblici del governatore è il tempo, la necessità di fare presto, anzi subito: produrre decisioni, sbloccare cantieri, impegnare fondi.

Su questo, dunque, De Luca punta le sue fiches. E ci sta: è un linguaggio, uno stile, persino una fraseologia che viene immediatamente compresa, dai più, e condivisa. Il punto è però – su Bagnoli e anche oltre Bagnoli – se la dimensione dei problemi che affliggono non solo la Campania ma l’intero Mezzogiorno richieda davvero una traduzione di questa esigenza in termini bruscamente conflittuali, o se la necessaria interlocuzione con Roma ed il governo centrale richieda capacità di agire di concerto, di fare squadra, di condividere idee, programmi e linee di azione.

De Luca è abituato a caricare le batterie del consenso popolare attraverso la tribuna di una piccola rete televisiva locale. Ma accanto a questo tratto populista con cui è costruita la sua figura pubblica – e che, finché funziona, non ha evidentemente motivo di abbandonare – sta l’annoso problema del governo reale della regione. E quindi dell’ambito di rapporti in cui deve essere speso quel consenso, perché produca davvero risultati. La soluzione non può ovviamente essere quella di rinunciare a farlo pesare, il consenso, ma non può nemmeno essere quella di preservarlo o addirittura accrescerlo, avendo però cura soltanto di individuare le figure del nemico su cui di volta in volta dirottare l’attenzione della pubblica opinione – siano essi la palude burocratico-amministrativa, o il sistema dei partiti, o il governo centrale, o infine l’Unione europea. I quali tutti ci mettono magari del loro, per giustificare una simile retorica, ma rimangono pur sempre l’ambiente istituzionale in cui implementare le politiche. Senza curare il quale si abbaia pure, ma non si morde mai.

Il cambio di passo che il governatore intende imprimere alla regione impone cioè costruzione di alleanze, gioco di sponda, e soprattutto un grande investimento di fiducia. Questo è il terreno più difficile. Nei rapporti pubblici, la fiducia riposa tuttavia su fattori meno incerti della simpatia o dell’affidabilità personale, e richiede la capacità di riconoscere e perseguire un interesse reciproco.

Ora però questo interesse c’è. Una strategia nazionale per il Mezzogiorno è interesse del Sud come dell’intero Paese. Anche Renzi deve convincersene, e forse la direzione nazionale del Pd convocata sul Mezzogiorno per il prossimo 7 agosto va in questa direzione. C’è perlomeno il tentativo di tracciare un disegno politico, prendersi qualche chiara responsabilità, e fare scelte conseguenti.

Ha ragione, d’altronde, il neo-governatore della Puglia, Michele Emiliano, a raccogliere e rilanciare la sfida di un fronte comune delle regioni meridionali. Lo richiede sia il formato dei problemi che la forza politica necessaria ad affrontarli. Oggi queste regioni sono guidate da uomini, come appunto Emiliano e come lo stesso De Luca, forti di un consenso per molta parte personale: occorre allora che diano prova di saperlo investire su un terreno più ampio, più largo, che coinvolga e susciti una nuova classe dirigente, che attivi nuove energie, che disegni nuove prospettive di sviluppo. A Renzi devono poter offrire questo: anziché proporsi come i capobastone arcigni del Sud che c’è, immaginarsi come i promotori del Sud che dovrà esserci, e che nessuno di loro può illudersi, d’altra parte, di costruire da solo, contro tutti gli altri.

Per De Luca, le occasioni di mettersi in gioco non mancheranno. Oggi è Bagnoli, domani sarà la cabina di regia dei fondi europei, e dopodomani la scelta per il sindaco di Napoli. È da capire se prevarrà una linea contundente o una linea in qualche misura convergente. È questione di strategie, certo, ma questa volta è, insieme, questione pure di risultati.

(Il Mattino, 2 agosto 2015)