Da qualunque parte lo si guardi, il concorso scolastico che prende inizio oggi rappresenta un punto di svolta nella storia della scuola italiana. A concorso vanno quasi 64.000 posti: nella scuola primaria e dell’infanzia, nella scuola secondaria, per insegnanti di sostegno. Era dai tempi del concorso del 2000 che non succedeva una cosa del genere. Luigi Einaudi non aveva affatto torto quando diceva che l’assetto ordinamentale non conta quanto il reclutamento docenti: se non investi sugli insegnanti, ogni disegno riformatore rimane infatti sulla carta. Certo, se l’età media di coloro che hanno presentato domanda supera i 38 anni, viene un po’ più difficile parlare di una nuova. fresca generazione di maestri e professori, ma il ritardo non può certo essere attribuito al governo in carica, bensì all’immobilismo degli anni passati, e anzi al progressivo disinvestimento nell’istruzione e nella formazione. In questa materia, il governo realizza dunque una netta inversione di tendenza.
Questo non vuol dire che mancheranno le polemiche: le polemiche (e un’immancabile scia di ricorsi) nel mondo della scuola non mancano mai. E allora saranno le modalità delle prove, il riconoscimento dei titoli, la formazione delle commissioni, i tempi della procedura concorsuale. Sarà, soprattutto, la protesta dei precari, quelli che avrebbero voluto entrare ex lege sulla base degli anni di supplenza accumulati, e che invece sono costretti, al pari di tutti gli altri, a sottoporsi alla prova concorsuale. Vince però il merito, ed è anche giusto che sia così, se si guarda non solo alle pur legittime richieste sindacali, ma anche alle esigenze almeno altrettanto legittime della scuola e degli studenti.
E così Matteo Renzi segna oggi un punto. Su una materia, peraltro, sulla quale aveva investito fin dal suo insediamento. Il governo in questi due anni ci ha messo quattrini: non solo per il concorso, ma anche per l’edilizia scolastica, e per la formazione docenti (il bonus di 500 euro per l’aggiornamento). Al passaggio parlamentare della riforma, il coro delle proteste aveva prevalso: scuola gerarchica, scuola autoritaria, scuola di classe. Slogan un po’ stantii. In ogni caso, con le migliaia di assunzioni di questi mesi, e ora con il concorso, Renzi sta rovesciando la partita. Aveva cominciato con una buona dose di retorica, visitando le scuole elementari ogni settimana, accompagnato da imbarazzanti coretti giulivi di bambini in grembiule, preparati da maestre forse troppo zelanti. Ma poi la riforma è stata approvata, gli investimenti sono arrivati, e il concorso eccolo: si fa.
A gennaio Renzi aveva detto: «noi blairiani vogliamo education, education, education», cercando di dare ai provvedimenti del governo anche il tono di una scommessa politica, e di una rivoluzione culturale. È presto per dire se vi stia riuscendo, è abbastanza per dire che ci sta provando. Avrebbe potuto anche scomodare Antonio Gramsci e il suo elogio dello studio, per accontentare quella parte della sinistra a cui il nome di Blair fa venire l’orticaria, ma la sostanza non sarebbe cambiata: nel nostro Paese l’ascensore sociale non funziona, e la funzione della scuola rimane quella di mettere tutti i nostri ragazzi su un piede di parità.
La giornata di ieri è stata poi teatro di un’altra, importante decisione, su cui questo giornale si era lungamente speso: quella di tenere aperte le scuole di Napoli anche al pomeriggio, oltre l’orario scolastico, e anche durante il periodo estivo. Ieri si è fatto un primo passo, e i primi milioni sono stati stanziarti per trasformare gli istituti scolastici in presidi di legalità, di civismo, di educazione alla cittadinanza. Le cronache di queste settimane ci hanno messo dinanzi ad una amarissima verità: l’età di quelli che sparano si è abbassata, e l’appartenenza familiare e sociale determina sin dall’adolescenza, entro determinati contesti, il destino criminale dei figli di camorra. Ripetere che forze dell’ordine e magistratura non bastano, che la sola repressione non basta è presso che inutile, se la scelta possibile in certi quartieri rimane una e una soltanto: quella della delinquenza organizzata. Perché i camorristi non se la passano male; perché il codice del rispetto e dell’onore legati alla violenza continua ad avere una presa molto forte; perché tutto passa di padre in figlio, in certe storie di camorra. Spezzare queste catene, economiche, sociali e valoriali, è possibile, ma per farlo c’è bisogno della scuola. Di docenti motivati e ben pagati, di istituti funzionanti e aperti al territorio.
Ieri è arrivato un primo segnale concreto. Se il concorso susciterà una nuova leva di docenti, con una sincera passione per le loro materie e la voglia di insegnarle ai più giovani, ne arriverà presto un altro, altrettanto importante.
(Il Mattino, 28 aprile 2016)