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Dentro di loro

Il tema dell’estate assegnato da Il Foglio è: "che c’è dentro di me". Il quale mi pare che dica – se capisco bene – che c’è una cosa che chiamiamo "sé", la quale ha un "dentro" (e immagino anche un "fuori", però evidentemente meno interessante), in cui ci sarebbe "qualcosa", che però non è ben chiaro cosa sia, perché altrimenti non staremmo a ragionarci sopra per l’intera estate. Nonostante questa poca chiarezza, ci sarebbe già un nome per questa "cosa" che si trova "dentro" di "sé" ma che non si sa bene che cos’è, ed è, stando a Il Foglio, "coscienza". Oppure la "coscienza" è ciò che serve per cercare quel che c’è "dentro" di "sé": ma allora dove si trova, a sua volta, la "coscienza"? Oppure chi "ha" coscienza (perché la coscienza è una cosa che si ha – oppure che si è?) sa già, per il fatto stesso di aver coscienza, che ha coscienza, e che ce l’ha dentro di sé? Ma perché per aver coscienza di aver coscienza, bisogna avercela "dentro"? O si tratta di quel che è "dentro" la coscienza, e di cui la coscienza stessa nulla sa? Ma come fa la "coscienza" ad avere un "dentro"?  (Son metafore? D’accordo, e allora me le sostituite, per favore, con le espressioni proprie?)

Com’è chiaro, io ho difficoltà non con la ricerca di ciò che è dentro di me, ma con l’assegnare un significato chiaro ai termini che definiscono il campo dentro cui si dovrebbe condurre la ricerca. Presumo che mi si chiederà di non far finta di non capire, e di fare qualche sforzo, per esercitare in prima persona quella riflessione grazie alla quale ciascuno scopre di avere un sé (o scopre di avere un dentro, o scopre che il suo sé ha un dentro?). Come se poi fosse ben chiaro cos’è la "prima persona". In ogni caso, adesso è tardi, ma domani giro la domanda di Ferrara a Renata, di anni otto e mezzo, Enrico, di anni cinque e mezzo, e Mauro, di anni tre, e vediamo se loro capiscono meglio di me cosa si vuole con questa storia di quel che è dentro di loro

Il Paradiso (tu vivrai)

Roberto De Mattei si fa interprete, su Il Foglio, del pensiero di Benedetto XVI. Il punto è uno solo: i guai che provoca il rimettere tutto alla libertà della coscienza. Quel che sarebbe per l’ennesima volta da notare, è il modo in cui si argomenta in difesa della verità: siccome per la via del soggettivismo moderno (e relativismo e nichilismo, eccetera eccetera) non si salva nulla di ciò a cui tengo, allora il soggettivismo è erroneo. Anche a voler mettere al posto di "ciò a cui tengo" qualcosa di più solido e meno idiosincratico, resta che in tutte queste difese dell’oggettivismo nella morale (e non solo nella morale) ciò su cui l’argomento si regge è semplicemente l’indesiderabilità delle conseguenze. Un modo abbastanza comodo di argomentare.

Ma (lascio perdere quel che la filosofia contemporanea avrebbe da dire su queste superstizioni del soggettivismo e dell’oggettivismo) neppure questo modo è seguito veramente sino in fondo. Tra queste conseguenze, Roberto De Mattei mette infatti la seguente:
"I cattolici che rifiutano l’assioma extra ecclesiam nulla salus sono convinti che la ‘buona fede’ salva. Ma allora, assomigliano a quel teologo, conosciuto dal giovane professor Ratzinger, secondo cui persino i membri delle SS naziste sarebbero in Paradiso perché portarono a compimento le loro atrocità con assoluta certezza di coscienza".

Qualunque cosa pensasse il giovane professor Ratzinger, la mia idea è che se proprio devo trovare un posto per l’idea di Paradiso, se proprio mi deve tornare comoda, direi che è quel qualcosa in cui persino i membri delle SS naziste possono trovar posto. Non vedo a cos’altro potrebbe servirmi l’idea del Paradiso, e forse è vero: metterla in un modo o nel’altro è la misura oggettiva della coscienza dell’uno o dell’altro: di ciò su cui essa è fondata.

(Il Paradiso)